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Mezzoeuro

L'Abate Salfi a cavallo delle rivoluzioni napoletane

di Oreste Parise

Mezzoeuro Anno XII num. 11 del 16/3/2013


Rende, 14/2/2013


Nasce a metà del Settecento quando era ancora in vigore il feudalesimo, che resisteva alla pressione degli illuministi

Gli piaceva esternare gratitudine verso le città che lo avevano accolto

Francesco Saverio Salfi è un rappresentante tipico di quella classe di intellettuali napoletani che a cavallo del Sette-Ottocento sognavano di trasformare il Regno di Napoli in una monarchia costituzionale e riformare profondamente le condizioni economico-sociali dello Stato. Nasce nella seconda metà del Settecento (nel 1759), quando era ancora in vigore il feudalesimo, che resisteva alle pressioni degli illuministi e dei tentativi di riforma effettuati nei primi decenni dell'arrivo dei Borboni a Napoli. Allo scoppio della Rivoluzione francese, nel 1789 è un giovane trentenne, colto, curioso e simpatizzante per le nuove idee libertarie propugnate dai giocobini. Le vicende francesi, la detronizzazione di Luigi XVI prima e il regicidio dopo, sconvolgono la corte napoletana tanti per i timori politici di un sovvertimento anche del Regno, quanto per una diretta partecipazione familiare alla tragedia della famiglia reale francese, poiché Maria Antonietta è la sorella della regina di Napoli Maria Carolina d'Asburgo. Di colpo la spinta illuminista della corte partenopea si interrompe, e inizia un periodo di dura repressione di qualsiasi manifestazione liberale o democratica: una frattura tra gli intellettuali regnicoli e i Borboni che non si riuscirà più a sanare. Particolarmente attiva nella politica di repressione di qualsiasi anelito libertario è la regina, che rimase particolarmente colpita dalla amara sorte della sorella.

Ma le idee non conoscono barriere, e l'arrivo dei francesi nel 1799 provoca l'instaurazione della Repubblica Partenopea alla quale partecipano i migliori intellettuali dell'epoca e Salfi è con loro, il quale comunica a Cosenza la notizia della proclamazione della Repubblica accolta con molto entusiasmo e furono piantati tre alberi della libertà.

Diventa segretario del Governo provvisorio e secondo la leggenda è uno dei pochi superstiti del Forte di Vibiena, uno degli episodi più sanguinosi della repressione sanfedista. Ancora più sorprendentemente riuscì a scampare anche alla forca fuggendo prima nella Repubblica Cisalpina e poi in Francia, a contatto con altri esuli di formazione illuministica e massonica. Come tanti altri prende contatto con la cultura europea, e inizia una attività clandestina di cospirazione con i gruppi rivoluzionari che pullulavano nella capitale francese.

Ritorna in patria dopo Marengo per insegnare al liceo di Brera e nel 1814 è a Napoli, l'anno seguente a Parigi consigliere di Murat. Prepara una bozza di costituzione, ma abbandona l'idea quando si rende conto che lo scopo del Re è quello di rafforzare il potere regio, ma non vi è alcuna intenzione di una democratizzazione dell'attività politica. All'Università di Milano istituì la prima cattedra europea di Diritto internazionale, scrivendo un ponderoso trattato rimasto inedito.

Nel 1831 insieme con Filippo Buonarroti prepara una sommossa per la formazione di una «Repubblica una e indivisibile dalle Alpi al mare». Scoperto dalla polizia borbonica fu nuovamente costretto a fuggire. Morì a Parigi nel 1732, all'età di 73 anni circiter.

È autore di molti scritti di carattere letterario e politico, e di uno studio sul terribile terremoto del 1783.

Una sua biografia, che qui si riporta, fu scritta dal suo pronipote Pietro Salfi, e inserita nella Storia dei cosentini di Davide Adreotti.

«Nacque Francesco Salfi il l° gennajo 1759 in Cosenza, antica e culta città della Calabria: morì a Parigi il 12 settembre 1832. Dotato di felice disposizione per la poesia e di amore immenso per le lettere, ancor giovinetto fu accolto e bentosto nominato segretario nell'Accademia de' Cratilidi, allor fiorente nella sua patria, ove die' luminose prove del suo insegno. Piena la mente de' precetti della nascente filosofia del Genovesi, si adoperò a tutt'uomo per ridurre la gioventù del suo paese alla dritta via del sapere, allontanatasene pel sistema pedantesco che regnava nella scuola di quei tempi. Nel 1783 il tremuoto desolava le Calabrie: Salfi, ricordandosi i principii del Vico intorno l'influenza ch'esercitano i fenomeni della natura sopra i nostri pensieri e sentimenti, volle studiar l'uomo e le sue azioni colpito dallo spavento di quel flagello. Ridottosi in Napoli, la sua opera del Saggio

de' fenomeni antropologici relativi al tremuoto fu pubblicata nel 1787, procurandogli la stima del pubblico e l'amicizia di molti uomini distinti, tra' quali il Filangieri, il Pagano, il Palmieri. La parte che prese alla compilazione del Dizionario degli uomini illustri che allora riproducevasi in Napoli , alcuni opusculi scritti in difesa de' diritti del Regno, che li fruttarono dal governo l'abbadia di S. Nicola di Maida in Calabria Citra-seconda, e molte operette teatrali con qualche tragedia lo tennero occupato fino a che per le triste vicende che intorbidarono l'Europa spatriò dal suolo natio. Dopo molti e fortunosi accidenti si fermò in Milano; ivi rifiutando ogni occupazione politica che gli venisse offerta da quel governo, si abbandonò a' suoi dolci studii, e quantunque novelle vicende l'obbligassero ad allontanarsene, attendendo alla carica di segretario dell'alto Comitato di Legislazione in Brescia, pure ebbe l'agio di metter mano a varie buone tragedie, delle quali alcune vennero stampate, e furon recitate in Milano ed in altri teatri d'Italia sempre con plauso.

È degno di notarsi come piacevasi esternare la gratitudine sentita verso le città che lo avevano sempre bene accolto, scrivendo sopra argomenti che interessassero e potessero arrecare gloria alle stesse. La Virginia Bresciana che gli fruttò molto onore e come travedo e come patriotta fu un omaggio per Brescia, che accordato avea la cittadinanza. Per Milano die' il Pausania tragedia piena di allegorie a quell'uomo che, ricco di molte virtù, non scevro però di grandi pecche, allora in mezzo alla sua gloria cercava, come quegli della Grecia, impadronirsi dell'Europa tutta. In questo tempo essendosi ancora istituite le scuole di declamazione ad impulso del Salfi, volle egli in tale occasione dettare un opera utile a quell'arte, che trovasi finora inedita, e che grandemente venne applaudita dal Botta e dal Talma, cui l'autore davano lettura in Parigi.

«Ritornato in Napoli nel 1779, ebbe parte con Pagano, Cirillo, Delfico e Bisceglia, suo concittadino, al governo d'allora; ma bentosto abbandonatolo riparò in Milano, ove gli venne affidata la cattedra di logica e metafisica nel Ginnasio di Brera, e poi quella di filosofia della storia, di diplomazia, di diritto pubblico e dell'alta scuola legale col Romagnosi e l'Anelli. In quest'epoca detto l'elogio di Antonio Serra Cosentino, primo scrittore di economia pubblica, al quale si può riconoscere la sua profonda dottrina in siffatta scienza. Caduto nel 1814 il regno d'Italia, e proclamata dal Governo provvisorio l'indipendenza e perciò l'esclusione de forestieri, Salfi, come il Gioja, il Rasori, il Foscolo, ecc., fu costretto a lasciar Milano. Allora non mancò Napoli di chiamare a sé l'esule figlio, nominandolo professore di cronologia nella regia università, e nel 14 febbrajo 1815 lesse, dopo si lungo tempo, a giovani suoi concittadini un dotto discorso sull'influenza della storia, mostrando «a quali abusi quei molti si espongono che della ragione non usano in tale studio, quali vantaggi, all'incontro, può la sola ragione raccoglierne ove sappia opportunamente adoperano. Ma non durò lungamente nel suo incarico, che per l'emergenze politiche di quell'anno ebbe a trasferirsi a Parigi, ove incontrò lieta accoglienza presso il Gingnenè, il Tracy, il Constant, il Say e a altri molti co' quali visse in costante relazione di affettuosa amicizia. Fermata quivi sua stanza, si die' di bel nuovo a' suoi prediletti studii letterarii, e nel 1817 pubblicò l'Analisi della storia greca, e molti dottissimi articoli in giornali letterarii. Collaborò nella Biographie universelle e nella rinomata Revue Encyclopédique. Amante del vero bene della sua patria, se le circostanze vollero che fossene lontano, ed accettasse l'ospitalità della terra francese, il suo pensiero fu sempre rivolto all'Italia, e non mancò ne' rivolgimenti politici del 1820 di farle sentire la sua voce, resa ormai più autorevole dall'esperienza di lunga età, pubblicando l'Italie au XIX siècle ou de la necessité d'accorder le pouvoir avec la liberté. Nella quale facendo un chiarissimo quadro dello spirito dominante del nostro secolo, e degli interessi diversi e speciali della penisola, mise il primo in luce l'idea di accordarle l'indipendenza e la libertà mercè una costituzione federale degli Stati d' Italia. Che se questo concetto del Salfi venne poscia ampliato, e di proposito trattato dal Gioberti e dal Balbo, non deve negarsi la gloria al nostro autore di essere stato il primo a svilupparlo. Ma l'opera che lo rese più celebre fa la continuazione dell'Histoire littéraire d'Italie. La morte del Ginguenè gli presentò il destro di poterla eseguire. E da prima fece importanti addizioni agli ultimi volumi, e poi pubblicò il X° tutto suo, a compimento del secolo XVI, arricchendolo con l'Eloge de Ginguenéy giusto tributo di riconoscenza verso questo scrittore, tanto benevolo alla nostra Italia. Il giudizio posto nell'esame delle varie produzioni e la perizia nel rinvenire le cause ascose del bello e del vero gli fecero grande onore, l'Eloge de Filangieri, il Résumé de l'histoire de la littérature italienne, ch'ebbe varie traduzioni e moltissime edizioni, ed il Saggio sulla Commedia italiana furono le ultime opere che il Salfi potè pubblicare; che la grande Histoire littéraire d'Italie du Siede XVlII per la quale lavorò circa dieci anni, non vide la luce che dopo la morte di lui. Insignito delle decorazioni di molti ordini cavallereschi, non mai ne fece una vana pompa che anzi modesto nel SUO sapere medesimo, si ebbe la stima di tutti gli uomini di lettere. Pieno poi di sincero affetto per la sua patria, non mai la dimenticò in suolo straniero, ivi procurandole con la sua penna quella giustizia di che non sempre gli estranei son cortesi verso di noi. Con carattere dignitoso protrasse la sua lunga ed agitata vita, e non mai il bello delle sue opere fu macchiato dalla bassezza o dalla venalità. Una modesta colonna che copre le sue ossa nel cimitero dell'Est in Parigi, accanto alla tomba di Ginguené, ricorda all'Italiano che ivi giace la spoglia di un suo illustre concittadino».


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