Banche e banchettidi Oreste Parise Mezzoeuro Anno XII num. 13 del 30/3/2013 |
Rende, 28/3/2013
Il sistema bancario collassa ma per le banche si trova una soluzione
inizia un lungo calvario per i ciprioti che dovranno affrontare una delle crisi più gravi della loro storia
Con la riapertura delle banche, la questione cipriota si è avviata ad una rapida soluzione. Questo significa che non ne sentiremo parlare più perché sarà ridotta alle dimensioni di una crisi locale di un piccolo paese di cui nessuno conosceva le sorti prima e men che mai lo conoscerà nel prossimo futuro.
Il curioso della situazione è che abbiamo assistito in diretta a una crisi che verrà perché non vi era nessuna drammatica crisi nell'isola, che negli ultimi anni ha vissuto una condizione di privilegio come testimoniato dai successi calcistici, che spesso sono considerati un indice del benessere dei Paesi, poiché richiedono grandi investimenti che solo i Paesi prosperi e con una solida economia si possono permettere. Le immagini televisive non mostrano un paese allo stremo, di deprivazioni materiali degli abitanti, con mendicanti per le vie, una povertà diffusa, slum e favelas nelle periferie della città, ma diffondono immagine di benessere e di prosperità.
Il 7 marzo del 2012 l'Apoel di Nicosia conquistava una storica qualificazione ai quarti di finale della Champions League, un risultato che nessuno avrebbe mai potuto immaginare. Sebbene conquistata ai calci di rigore mostrava un Paese in piena salute in grado di competere con squadre ben più titolate come il Lione, zeppo di campioni. Questo grande risultato era stato preceduto da altri importanti come il pareggio casalingo con la Germania il 15 novembre 2006, e quello esterno con il Portogallo, con quattro reti da entrambi le parti; a questi bisognerebbe aggiungere molti altri importanti successi come lo strabiliante 5-2 imposto all'Irlanda di Trapattoni nel 2008.
Questi risultati strabilianti per una squadra da sempre cenerentola d'Europa, come Cipro o San Marino, venivano dopo l'ingresso nell'Unione Monetaria, che dava a Cipro un invidiabile condizione di paradiso fiscale sotto il mantello di una delle economie più forti del mondo e soprattutto di una area monetaria e di una moneta con lo status di mezzo di pagamento internazionale accanto al dollaro. Una posizione di privilegio che cozzava contro tutti i principi sui quali è stata costituita l'Unione e costituiva una dimostrazione della artificiosa crescita dell'Europa costruita su basi puramente quantitativi con l'ingresso di nuovi stati membri, piuttosto che con la costruzione di una solida politica di integrazione politica e sociale. A questo hanno contribuito molti fattori, ma non è certo secondario il ruolo negativo avuto dall'Italia, che sotto la spinta della Lega Nord ha subito una involuzione della sua politica europeistica. Uno degli Stati fondatori, dove aleggiava ancora lo spirito del Manifesto di Ventotene, si è ritrovato per lunghi anni tra i protagonisti in negativo dell'Unione, con una classe politica incapace di concludere buoni accordi sulle quote latte, ma pronta a difendere tutti coloro che agivano palesemente in dispregio delle regole comunitarie, sottoscritte anche dal nostro governo.
Il disastro provocato in Europa da una classe politica inetta come quella leghista è molto maggiore di quello provocato nel sistema economico-sociale interno, con le amenità come le ronde padane, i cannoni di Navarrone puntati contro i barconi degli immigrati, il federalismo d'accatto che ha inaugurato la politica “sciacqua Rosa e bive Agnese” che ha generato i mostriciattoli del Batman e consentito vacanze da Mille e una notte al Celeste, conseguenza inevitabili di uno pseudo-federalismo irresponsabile e senza controlli.
La condizione cipriota era transitoria, e già negli accordi sottoscritti era indicato le stazioni del calvario che avrebbe dovuto sopportare per trasformare la sua economia finanziaria in economia reale. La “road map” era stata sottoscritta forse troppo allegramente nella convinzione che l'ingegno bizantino avrebbe facilmente trovato qualche espediente per sfuggire alla ghigliottina allestita a Bruxelles. Non avevano fatto bene i conti con l'ostinazione teutonica di pretendere il rispetto pedissequo degli impegni, che ha posto il governo dell'isola di fronte al drammatico dilemma di uscire dal sistema monetaria europeo o perdere il suo status privilegiato di paradiso fiscale. Ognuna delle due alternativa presentava seri rischi, poiché l'uscita dall'euro avrebbe avuto come immediata conseguenza l'inclusione dell'isola nella “black list” dei Paesi con i quali i trasferimenti finanziari sono illegali per gli operatori europei. Di fatto questo significa che avrebbe perso sia la protezione monetaria europea che lo status di paradiso fiscale.
È difficile oggi stabilire in quale stazione del lungo calvario che dovrà percorrere l'isola per ritrovare un nuovo equilibrio economico-sociale, una operazione che potrebbe tentare solo chi ha una profonda e diretta conoscenza dell'economia cipriota. Certamente, il peggio deve ancora avvenire, perché il prelievo sulle banche è una operazione una tantum, che lascia una ferita profonda e difficile da rimarginare, ma la difficoltà maggiore è quella di trovare un modello di sviluppo che integri l'isola nell'economia del continente. Una operazione impossibile senza la definizione di una politica economica europea, che solo una grande visione politica nello spirito indicato da Altiero Spinelli potrebbe consentire.
Le premesse non sono affatto confortanti, se solo si riflette sull'atteggiamento assunto dai nuovi protagonisti politici nostrani, chiusi in un serraglio ideologico, in una visione gretta e localistica dell'economia. La teoria della decrescita va coniugata con una visione globale del mondo, e la costruzione di uno spazio politico più ampio, per consentire un riequilibrio delle risorse e una compatibilità ecologica. Questo richiede ampi orizzonti politici, e la definizione di credibili obiettivi da raggiungere in tempi ragionevoli.
Il caso cipriota mette in rilievo il grande ruolo svolto dalle banche in senso positivo, quando contribuiscono al finanziamento del sistema economico, che negativo quando al contrario si dedicano ad attività di pura speculazione finanziaria mettendo a repentaglio l'equilibrio del sistema.
Esse partecipano al grande banchetto della speculazione, e giocano con la sorte di milioni di persone incuranti dei guasti e delle sofferenze che impongono a milioni di persone. I grandi colossi finanziari sono diventati dei protagonisti in negativo dell'economia mondiale, avendo perduto qualsiasi riferimento con la realtà, ma costrette a difendersi sui mercati borsistici internazionali e partecipano al grande banchetto speculativo.
Il Mezzogiorno ha assistito passivamente alla distruzione del suo già debole sistema finanziario. Un sistema fragile, scarsamente capitalizzato perché ha rifiutato di farsi fagocitare dalla finanza criminale. Vi è stato un tempo in cui Trapani deteneva il primato della maggiore concentrazione di sportelli in tutta Italia, per la presenza di banche che presentavano delle zone d'ombra molto sospette, ma la situazione è andata normalizzandosi. I grandi capitali intermediati dalle organizzazioni criminali, come la mafia o la 'ndrangheta. Hanno trovato altri canali, come la stessa Cipro, che ha costruito il suo benessere anche sul nostro sottosviluppo impedito da controlli asfissianti e una immagine negativa pagata a caro prezzo per la fuga degli investitori internazionali.
Il nostro sistema bancario meridionale si è ridotto a banche locali, in Calabria costituite unicamente da BCC, che non sono in grado di intercettare fette consistenti di risparmio locale perché soggette a una spietata concorrenza da parte dei colossi mondiali presenti sul territorio some mere idrovore finanziarie.
Questa lunga crisi li ha costrette a vivere una esistenza precaria, con una svalutazione continua del portafoglio prestiti, per effetto del deterioramento dei crediti che sta lentamente portando al blocco del circuito finanziario.
Il Monte dei Paschi di Siena tenta di sopravvivere con perdite superiori ai tre miliardi di euro, mentre qui l'economia boccheggia per l'impossibilità di dare una boccata di ossigeno alle imprese con l'erogazione di qualche centinaia di milioni di euro. Pur nella peggiore delle ipotesi l'economia reale è di gran lunga preferibile al pozzo senza fondo della speculazione, di cui non si vuole parlare e porvi un argine.
La questione bancaria non appare tra le priorità dell'agenda di governo, ma senza la definizione di una politica bancaria è difficile immaginare di poter uscire dalla crisi, soprattutto seguendo le indicazioni pauperistiche dei grillini.
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