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Mezzoeuro

Sportelli nelle mani sbagliate

di Oreste Parise

Mezzoeuro Anno XII num. 16 del 20/4/2013


Rende, 19/4/2013


Un disastro che si poteva evitare

Il Commissariamento della BCC dei Due Mari ha ancora una volta evidenziato che una delle principali debolezze delle piccole banche è l'inadeguatezza degli amministratori, che si improvvisano tali senza competenza ed esperienza. La Banca d'Italia cerca di apportare qualche correttivo, ma è necessario intervenire con una normativa più rigorosa

Fino a qualche decennio fa, la Calabria era una società contadina. Ogni più remota contrada era caratterizzato dalla presenza degli asini, che costituivano una caratteristica del panorama, come è evidente da qualsiasi documento fotografico dell'epoca.

Le famiglie contadine non potevano fare a meno di quel prezioso animale, ora quasi completamente scomparso, così come trovavano conforto nella presenza delle vecchie Casse e Rurali e Artigiane, che avevano “umanizzato” le banche, istituzioni sacrali che incutevano timore e rispetto. Il direttore di banca era un'autorità sul territorio, al pari del sindaco, del parroco, del farmacista e qualche altro professionista.

Quando ci si recava in campagna incontrando una sorgente o un torrentello, si invitava l'asino, l'immancabile compagno di quelle faticose giornate, a bere. Fischiando, secondo un uso secolare. Ma capitava spesso, che questi, caparbio come i suoi padroni, si rifiutasse nonostante le bastonate sul groppone. “Quannu lu ciuccu nu vvo', hai voglia ca fischi!!!” era la saggia conclusione popolare.

Può sembrare irriverente iniziare con un asino un discorso su un momento così delicato come il commissariamento di una banca, che rappresenta una realtà territorialmente importante che può provocare un serio sconvolgimento degli equilibri economici.

Il commissariamento della BCC dei Due Mari è stato già digerito dal mostro mediatico che ha rivolto altrove il suo interesse. Le notizie certo non mancano, tra le bombe di Boston, l'esplosione di una fabbrica nel Texas, l'elezione del Presidente della Repubblica e via rimestando nella spazzatura mediatica. Restano solo alcune antenne più sensibili del territorio che mantengono accesa la fiammella dell'interesse su questo problema.

Una questione che riappare costantemente ad ogni crisi di una BCC è quello del ruolo dell'Assemblea, o meglio dei soci che sono stati sollecitati a sottoscrivere un capitale, piccolo nella sua entità unitaria, ma che per molti di loro rappresenta un sacrificio reale, ma soprattutto la speranza di poter partecipare con il proprio sacrificio al miglioramento della realtà. La sottoscrizione di quella quota è una scommessa sulla capacità di farcela, di superare le difficoltà contingenti.

La crisi di una BCC rappresenta un trauma sul territorio, non tanto e non solo per le immediate ricadute sul piano del credito, ma perché in quel momento si spezza quel filo di speranza di poter contribuire, anche se in maniera marginale, alla costruzione del pezzetto di futuro.

Eppure nel momento della crisi, nessuno si prende la briga di interessare costoro. Come hanno dimostrato i numerosi casi di crisi, essi perdono il loro investimento senza un lamento, senza alcuna protesta. La maggioranza sembra al contrario disponibile a rinnovare la sua scommessa.

Dura lex, sed lex, dicevano i latini. Non vi è alcuna norma che imponga di coinvolgere i soci di una BCC nella fase del commissariamento e questo non è stato mai fatto.

Un gruppo di essi, vorrebbe oggi, ad esempio, che fosse convocata una assemblea per poter almeno avere qualche informazione su quello che potrebbero essere le possibili evoluzioni di questo processo. Proprio in questa fase il rapporto con la massa dei soci è molto problematico, perché nessuno può indovinare cosa succederà. Non è mai successo neanche nei numerosi casi precedenti che questo sia avvenuto anche in seguito. I soci si sono ritrovati ex, il loro piccolo risparmio azzerato, la loro banca scomparsa senza che la maggioranza di essi abbia mai saputo dare una spiegazione a quanto accaduto.

Si potrebbe dire che con la partecipazione alle Assemblee annuali essi avrebbero lo strumento necessario per potersi informare sulla gestione della banca, capire l'evoluzione degli eventi, ma soprattutto partecipare attivamente alla scelta dei responsabili cui affidare le sorti.

Il ruolo che oggi reclamano, avrebbero potuto esercitarlo annualmente con un controllo più penetrante e con la richiesta di chiarimenti dalla governance che avrebbe dovuto garantire loro il buon andamento della gestione e fornire i necessari chiarimenti sul loro operato.

Ma la scelta e il rinnovo quasi automatico delle cariche, sono atti con i quali è anche rinnovato il patto di fiducia, un mandato che incorpora quella politica di gestione che oggi molti si affannano a criticare. Il punto debole di molte banche locali è proprio nella qualità del personale chiamato a governarlo e gestirlo che risponde a logiche locali.

Il processo di selezione non ha le limitazioni ideologiche dettate da principi etici o religiosi, non vi è alcuna disputa sui diritti degli embrioni, ma è un puro risultato di una legislazione carente che lascia tutto il procedimento nella nebbia normativa, e consente che il governo delle banche locali (ma non solo per la verità) possa essere tranquillamente affidato senza alcun criterio, anche a un bravo chirurgo che pretende di affrontare le morosità con l'antibiotico.

Chi ha un minimo di esperienza, è perfettamente consapevole che nella realtà, è sempre un ristretto numero di soci che influenza tutto il processo decisorio, com'è inevitabile nella democrazia assembleare. Questo sistema provoca la conseguenza che gli organi della banca non sono scelti per la loro professionalità, competenza ed esperienza nel settore, ma per il ruolo svolto sul territorio, per la capacità di influenza. Questo ha un immediato riflesso sulla gestione che assume un carattere familistico, clientelare, politico con una inadeguata considerazione degli aspetti più prettamente tecnici dell'attività bancaria.

La Banca d'Italia, nella sua funzione di Vigilanza, ha sempre tentato di correggere questo difetto congenito, ma si deve dire che la politica della “moral suasion” non ha funzionato molto bene, per usare un eufemismo. Nonostante i richiami, i solleciti, le raccomandazioni che si ripetono in maniera quasi ossessiva in tutte le relazioni ispettive, la situazione stenta a migliorare e si può ben dire che nel complesso non si è ancora riusciti a selezionare una classe dirigente bancaria in grado di imporsi sul territorio con il carisma della propria figura professionale. Questa è una delle principali cause del sottosviluppo meridionale, poiché senza una classe dirigente adeguata non si programma, non si progetta, non si riesce a seguire alcun modello di società.

Questo costituisce nello stesso tempo dei maggiori punti di debolezza e un fattore importante che impedisce una adeguata politica di sviluppo del territorio. È sufficiente ricordare le enormi risorse destinate dalla Unione Europea che vengono sistematicamente sprecate perché affidate esclusivamente all'arbitrio di una classe politica incapace persino di attuare una adeguata politica di spesa. Il ruolo delle banche locali potrebbe essere essenziale per poter gestire questo imponente flusso di risorse finanziarie. Una opportunità sprecata, certamente per la netta opposizione della classe politica che difende le proprie prerogative anche a prezzo di un fallimento assoluto, ma anche della classe dirigente bancaria che non sa proporsi come una reale e valida alternativa.

Vi è un altro appuntamento annuale che assume un significato particolare per le BCC, la valutazione dell'ICAAP, un ennesimo acronimo che nasce dalla denominazione inglese Internal Capital Adequacy Assessment Process, Processo di determinazione dell'Adeguatezza del Patrimonio. In questo sistema vigente di controllo prudenziale costituisce il momento più significativo per una banca poiché è sulla base di questo indice che si determinano le sue concrete capacità operative.

Per una concreta valutazione dell'ICAAP, si definisce la mappa complessiva dei rischi più rilevanti che la banca deve affrontare nella concreta attività di gestione (rischio di concentrazione; rischio di mercato; rischio operativo; rischio di tasso di interesse; rischio di liquidità; rischio strategico; rischio di credito e di controparte, rischio di reputazione) seguendo le vari fasi di misurazione dell'indice, la sua collocazione nel sistema comparando con gli altri il comportamento, e la predisposizione di azioni idonee a mitigare il livello del rischio, con l'individuazione dei responsabili di gestione cui viene demandato il compito di seguire la procedura e procedere ai necessari correttivi nel corso dell'anno.

Il Governatore della Banca d'Italia con una lettera dell'11 gennaio 2012 ha tentato di imporre una sorta di autodafè alle banche (o per dir meglio ai responsabili della loro gestione), aggiungendo al processo di valutazione dell'organizzazione e governo societario, uno specifico processo di autovalutazione dei componenti della governance aziendale.

In pratica i componenti del Consiglio di Amministrazione devono riempire un formulario per esprimere le proprie valutazioni sulle effettive modalità adottate nella gestione, tenuto conto del peculiare contesto statutario-regolamentare e ambientale di riferimento. La Vigilanza ha inteso iniziare a dare attuazione pratica al controllo del governo societario, trasformando il processo tecnico affidato alla pura logica dei numeri espressi dai ratios, a un processo personale di valutazione della qualità professionale degli organismi e dei suoi componenti.

La verifica della congruità del patrimonio delle banche si trasforma così in una occasione per la Vigilanza di costringere la governance a una sorta di esame di coscienza.

Non vi è nulla della terribile sacralità dell'ordalia, non vi sono prove divine da superare, il tappeto di braci ardenti è sostituito dallo sguardo severo di mamma Banca d'Italia che sovraintende al processo con malcelato scetticismo, ma con la rassegnata pazienza di chi è consapevole che i figli sono quelli che ti capitano, non quelli che avresti voluto scegliere.

Tutto il processo è soggetto a una regolamentazione “in house”, casareccia, in cui sono gli stessi personaggi che pirandellianamente scelgono la parte da svolgere sulla scena: protagonisti della gestione, normatori, inflessibili censori, imparziali valutatori e dispensatori di pacche sulle spalle per complimentarsi dello scampato pericolo. Un altro anno e via a vele spiegate.

La Banca d'Italia tenta di farli bere alla fonte della saggezza, ma “quannu lu ciucciu … !”, direbbe il vecchio saggio, e senza offesa per l'incolpevole somaro.

Nessuno si è dichiarato inadeguato né si dichiarerà mai tale, al contrario avrà fatto il diavolo a quattro per trovarsi in quel posto, facendo ricorso a tutte le sua armi persuasive per acquistare consensi proprio tra i soci perché ben convinto del suo innato carisma e delle sue capacità, sicuro di essere in grado di superare agevolmente le carenze formative, professionali e di esperienza.

La normativa appare troppo blanda; andrebbe resa molto più rigorosa e applicata soprattutto all'atto della nomina, usando un setaccio a maglia molto fine per tener fuori quegli elementi che fin qui hanno prodotto grandi guasti nel sistema delle banche locali.

Il caso della BCC dei Due Mari non sfugge alla regola generale di una scelta molto approssimativa della governance che neanche gli innesti esterni sono riusciti a superare.

Oggi il sistema del credito locale assume un valore strategico nello sviluppo e su questo tasto bisognerebbe insistere molto, perché non vi è una chiara percezione del ruolo che le banche hanno nel governo dell'economia.

L'assurdità del modello tedesco di “banca universale” imposto a tutti, dalle più piccole BCC alle grandi banche d'affari ha imposto ai governi di intervenire in loro favore con mostruose iniezioni di liquidità provocando la formazione di una opinione pubblica fortemente ostile. L'impressione è che si continui a voler riempire il pozzo di San Patrizio, di cui non si vede il fondo.

Nessuno sembra accorgersi che le difficoltà delle grandi banche, provocate da operazioni speculative, sono abissalmente diverse dalle difficoltà delle piccole, che si sono svenute nel tentare di arginare questa disastrosa crisi economica.

È oggi indispensabile una riforma del sistema bancario. Non si tratta di ritornare alla situazione precedente al TUB (Testo Unico Bancario), quando vi è una forte specializzazione tra banche piccole e grandi, pubbliche e private, a breve termine e a medio e lungo, e poi istituti specializzati in varie forme (gli istituti di credito speciale, fondiario, agrario, industriale, cinematografico e via discorrendo). Più pragmaticamente oggi si tratta di operare una distinzione netta tra banche commerciali comunque le si voglia denominare (di risparmio, di credito ordinario, di intermediazione creditizia, ecc.) e banche di affari, speculative, che operano nei mercati finanziari.

Alle prime non deve essere consentito di operare sui mercati borsistici, ma devono limitare la propria attività al finanziamento dell'economia (pubblica e privata). Per questa loro funzione sociale devono essere blindate con con una procedura controllato delle crisi, un sistema di protezione dei depositanti-risparmiatori che affidano il loro denaro per poter gestire la loro posizione finanziaria e non certo per alimentare la speculazione, e sostenute con interventi pubblici in caso di necessità.

Le banche di affari, al contrario, possono essere sottoposte alle procedure fallimentari ordinarie, sottoposte a un regime di bailing in, addossando anche ai depositanti-speculatori il rischio di default e sottoposte a un severo regime di dimagrimento.

La politica, lo Stato deve riappropiarsi del ruolo di regolamentatore e regolatore del processo economico e finanziario e non subire il ricatto della speculazione.

Va sottolineato con molta evidenza che fin qui il sistema di credito cooperativo ha risolto al proprio interno le difficoltà delle banche aderenti senza pesare sul bilancio pubblico.

Anche a livello europeo si inizia a discutere della necessità di intervenire nella legislazione bancaria, sarebbe un grave errore se ancora una volta si producesse una normativa uniforme da applicare a tutti gli istituti.

L'illusione che l'Occidente potesse continuare la sua lunga fase di colonizzazione specializzandosi nella rapina finanziaria deve considerarsi conclusa. L'euro non può rappresentare lo strumento per finanziare il nostro benessere perché ben presto sarà il renmimbi cinese a prendere il suo posto quale moneta internazionale accanto al dollaro.

Abbiamo bisogno di ricostruire la nostra economia reale: il credito deve ritornare ad essere uno strumento di sviluppo, non una occasione di arricchimento attraverso la speculazione; per questo abbiamo un disperato bisogno di un efficiente sistema di banche locale.


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