La ripresa è lontana, ma noi siamo pronti a rispondere alla sfidadi Oreste Parise Mezzoeuro Anno XII num. 22 dell'1/6/2013 |
Rende, 30/5/2013
Parla Nicola Paldino, presidente della BCC Mediocrati
La fusione con la BCC dello Ionio risponde alla logica di rafforzare il sistema e prepararsi alle nuove sfide del mercato. La nuova banca ha 21 filiali, 5.500 soci, per dimensione è tra le più importanti BCC a sud di Roma.
Nel processo di riordino del sistema locale, un momento importante è stato quello della fusione tra tra il Mediocrati e l'Alto Ionio. Come si è arrivati a questa decisione? Si sono evidenziati dei segnali di debolezza o si è voluto procedere a un rafforzamento dei due istituti?
Nella crisi che stiamo vivendo, il sistema delle BCC è sottoposto a uno stress. I segnali di debolezza sono evidenti negli esiti a cui stiamo assistendo. La serie di commissariamenti avvenuti sul territorio ne sono un segnale inequivocabile. Di fronte a questo, si è preferito agire d'anticipo e procedere per aggregazione dei due istituti per creare un soggetto più forte e in grado di rispondere con maggior forza agli shock del mercato creditizio. La BCC dello Ionio non aveva da sola la forza di reggere l'urto, benché fosse un istituto ben gestito e organizzato, e questo gliene va dato atto. Non si è trattato, in questo caso, di rimediare a una situazione di crisi gestionale e di deficit della governance, ma di trovare insieme un assetto idoneo a rispondere alle sollecitazioni del mercato.
La BCC dello Ionio con 4 sportelli e 16 dipendenti non aveva i numeri sufficienti ad affrontare un mercato sempre più competitivo. Sottodimensionata e incapace strutturalmente di produrre un reddito sufficiente a rafforzarsi proprio per la sua stessa dimensione. Vi è poi una questione del territorio, che non ha una struttura economico industriale tale da consentire un processo di crescita, sia in termini quantitativi che qualitativi. In una piccola realtà non si possono offrire al personale le occasioni per rafforzare le loro capacità e competenza, a formare lo skill necessario per operazioni più sofisticate.
Quale è il ruolo di ciascuna di essa?
Il Mediocrati ha assunto la funzione di banca aggregante solo per una questione di dimensioni. Il presidente della BCC dello Ionio, Michele Aurelio, assumerà la vicepresidenza in riconoscimento delle sue qualità professionali e personali. Abbiamo risposto con una strategia proattiva per preparare il futuro scenario in cui dovremo operare. Si è trattato di una scelta condivisa dal sistema del credito cooperativo, che sta cercando una strategia per rafforzare il suo ruolo, e trovarsi a giocare da protagonista nel nuovo scenario che si prepara al momento della ripartenza del sistema. Una scelta condivisa e incoraggiata dalla stessa Banca d'Italia che non ha nessuna voglia di distruggere il credito cooperativo calabrese. Questo deve essere ben chiaro, poiché i suoi interventi possono sembrare penalizzanti, ma rispondono a una logica di difesa del sistema.
A volte la Banca d'Italia viene criticata per non essere intervenuta in maniera tempestiva.
Al contrario credo che l'accusa più frequente è quella di una eccessiva severità. Ma è come accusare il chirurgo delle ferite inferte al paziente, che lasciano delle cicatrici, ma gli salvano la vita. La Banca d'Italia è favorevole a qualsiasi operazione che serve a rafforzare il sistema, a dargli un assetto migliore per favorire la crescita del mercato bancario.
Non trova che la diminuzione del numero degli operatori porti a un restringimento della concorrenza?
In tutti i settori il numero degli operatori si è ristretto, compreso quello bancario, ma il problema è quello di riuscire a dare una risposta ai bisogni del territorio. Quando la crisi è di sistema, è difficile sopravvivere quando intorno crolla tutto, si rischia di essere travolti dalla macerie. Dobbiamo costruire delle strutture che siano in grado di resistere a questo terremoto. Nella situazione calabrese vi è spazio per BCC che abbiano una dimensione e una patrimonialità sufficiente a stare sul mercato e noi dobbiamo prepararci a questo scenario.
Vi è in atto un processo di riforma del credito a livello europeo, e non vi sono segnali positivi per le banche locali. Ancora una volta si conferma il sistema delle banche universali, dove si consente tutto a tutti.
Nel nostro piccolo cerchiamo di difendere la nostra specificità e l'esigenza di avere una maggiore flessibilità gestionale. Ma è una battaglia difficile perché prevale l'opinione di confermare e consolidare questo sistema, si parla solo di trasferire alcune funzioni a livello superiore per consentire un maggior controllo e una capacità di intervento da parte della BCE. Dobbiamo realizzare le nostre idee, utilizzando gli strumenti che abbiamo a disposizione, autoregolamentarci attraverso gli statuti e la prassi gestionale. I limiti alla operatività li dobbiamo trovare nella nostra capacità di interpretare il nostro ruolo di sostegno all'economia reale, di supporto al territorio.
Ritiene che la nuova banca che si è creata ha raggiunto una dimensione adeguata alle nuove sfide del mercato, o deve ancora trovare un suo assetto ottimale?
Oggi siamo una banca con 21 filiale e 140 dipendenti, e possiamo considerarci vicini alla banca ideale, anche in considerazione della omogeneità del territorio che copre quasi tutta la provincia di Cosenza, in grado di garantire un livello di reddito e di risorse che possono generare il processo di accumulo necessario per il rafforzamento patrimoniale e reddituale del nuovo istituto. Ancora siamo sotto l'effetto della crisi, ma ci siamo attrezzati per poter affrontare la sfida della ripresa. Vi sono segnali di cauto ottimismo, come la chiusura della procedura di infrazione per eccesso di debito da parte della UE. Gli effetti si vedranno tra qualche mese, ma possiamo almeno sperare che la macchina si rimetta in moto.
In questo momento è difficile quantificare quali sono i numeri per una banca locale ottimale, in termini di sportelli, personale, raccolta, impieghi e così via. Molto dipende dalle condizioni del mercato. Noi abbiamo il dovere morale dell'ottimismo per dare una speranza alla capacità di ripresa della nostra regione.
Si parla tanto di credit crunch, della reticenza delle banche a concedere credito. Esistono difficoltà operative che impediscono alla banca di allargare i cordoni della borsa? La nuova banca è in grado di soddisfare le richieste degli operatori?
Non credo che vi siano difficoltà operative da parte della nostra banca. Abbiamo risorse sufficienti a dare una risposta alle richieste degli operatori. La difficoltà risiede nella qualità delle richieste di intervento creditizio, poiché vi sono tante aziende in difficoltà che non necessitano più di credito, ma di operazioni di salvataggio, di interventi strutturali che la banca non si può assumere senza mettere a rischio la propria sopravvivenza.
Una volta si usava l'espressione "il cavallo non beve" per indicare una stasi nel credito. Oggi il cavallo non beve perché non ha sete, o perché non trova l'acqua per soddisfare la propria sete?
L'acqua c'è, perché anche il discorso sulla liquidità è ridimensionato rispetto alla stretta a cui abbiamo assistito fin qualche mese fa. Oggi vi è una liquidità sufficiente, ma non ci sono richieste valide. La difficoltà del territorio si riflette nella richiesta di aiuto piuttosto che in proposte di investimento. Ma non siamo noi gli interlocutori adatti per questo genere di interventi.
Questa mancanza di investimenti nasce da una incapacità degli operatori locali a formulare delle proposte valide, o dall'assenza di opportunità di investimento? In un mondo che cambia così rapidamente vi sono sempre degli spazi enormi che si aprono, ma la Calabria sembra chiusa in sé stessa. Un imprenditore valido cerca opportunità altrove, si guarda intorno.
Il nostro sistema imprenditoriale non sembra in grado di rispondere alle sollecitazioni del mercato globale, perché è sottocapitalizzato e scarsamente professionalizzato e soprattutto di dimensioni minime, non in grado di superare i confini locali. Una dimensione regionale è già un buon risultato che potrebbe permettere la competizione sui mercati globali.
Non vi è la forza economico per spingersi oltre i confini, ma forse neanche la capacità imprenditoriale.
Assistiamo spesso a proposte di investimento di 500mila o un milione di euro da parte di imprese con un capitale di 20mila euro, che non si dichiarano neanche disposte ad assumere il rischio in proprio. Questo significa voler fare impresa mettendo a rischio i soldi della banca, o per meglio dire dei risparmiatori e questo non può essere consentito. I danni prodotti da imprenditori truffaldini con i soldi pubblici, come accaduto in alcuni casi per la ex legge 488, sono enormi, in termini di mancato sviluppo, ma soprattutto di immagine. Bisogna premiare il merito, la capacità e la voglia di rischiare. Per ripartire bisogna incoraggiare l'intraprendenza, la creatività, la voglia di competere. È difficile uscire dalla crisi finanziando pizzerie, che pur meritano di essere sostenute.
Ad onor del vero molti di questi "prenditori" sono calati qui dal Nord per la politica del "prendi i soldi e scappa".
Ne sono venuti tanti, forse in maggioranza, ma hanno sempre trovato una facile sponda da noi, di persone che hanno partecipato al banchetto.
Quale ruolo potrebbe svolgere una banca locale per aiutare le imprese a uscire dalla loro marginalità e aggredire il mercato mondiale. Nel campo dell'internazionalizzazione si sono fatte molte parole, ma i risultati sono molto scarsi.
È un campo molto specialistico e selettivo. Noi siamo partiti da qualche mese, e stiamo avendo dei piccoli segnali positivi, ma è ancora troppo poco per fare un bilancio. Riteniamo che sia la strada giusta per uscire dalla crisi. Già qualche impresa ha avuto una linea di credito per l'estero, e speriamo che sia un seme che possa produrre un albero rigoglioso. Solo una BCC con la sua capacità di affiancare l'impresa, seguirla passo dopo passo può svolgere questo ruolo di propulsore dello sviluppo su questo territorio, poiché la dimensione stessa delle imprese non gli consente di investire in formazione, ricerche di mercato, pubblicità, organizzazione commerciale ...
Quale sinergia si è cercata tra le istituzioni finanziarie regionali come la Fincalabra e la Fondazione FIELD e il sistema delle BCC. Non sembra vi sia una grande collaborazione.
Abbiamo sottoscritto diverse convenzioni con la Fincalabra, in particolare quella per operazioni di microcredito, che assiste soggetti che non abbiamo tutti i requisiti di bancabilità. Si tratta di operazioni di 25 o 50mila euro, con garanzia dell'80% per le quali sono stati destinati 20milioni. Si tratta di operazioni di sostegno, per dare un aiuto alle giovani imprese.
Il problema non è tanto nell'entità del finanziamento, ma nella qualità della proposta. Qui si continua ad insistere su idee obsolete, strutture commerciali, ristorazione ecc.
Noi abbiamo investito molto sul microcredito. Seguendo il progetto Jasmine stiamo istruendo nostri dipendenti con formatori che vengono direttamente da Bruxelles ad impartire lezioni di microfinanza. Noi siamo convinti che solo allargando il numero degli operatori coinvolti possiamo sperare di generare un sistema virtuoso, tra tante piccole proposte si può nascondere lo spin-off che crea una grande azienda.
Dobbiamo sottolineare che gli osservatori europei ci mettono di fronte al nostro ritardo culturale. Sono stupiti nel constatare che qui la microfinanza assume il connotato di una operazione assistenziale, con tassi ridicolmente bassi. La filosofia imprenditoriale del nord privilegia le proposte più innovative, rischiose, che però possono provocare shock positivi di crescita. Il microcredito deve diventare un business per la banca e per l'imprenditore, che si assume un rischio, ma trova anche un sostegno per realizzare i propri sogni, per costruire un pezzo di futuro. È una delle forme di credito con maggiore rischio e deve essere adeguatamente remunerato.
Perché non si riesce a superare questa dimensione localistica?
Il nostro dramma è che da decenni siamo un mercato di consumo, che ha perso la capacità di fare impresa, di pensare in termini produttivi. Tutte le richieste sono concentrate sul settore commerciale, non vi sono che poche richieste di investimenti innovativi. Ancora non abbiamo la fortuna di aver finanziato uno spin-off che trasformi in impresa una ricerca. C'è bisogno di una rivoluzione culturale.
Quali sono i segnali che provengono dal territorio? Si avverte qualche segnale di ripresa?
Ancora navighiamo nella nebbia. La speranza è costituita dai vecchi imprenditori, da coloro che si sono formati con una lunga esperienza, che sono oggi in stand-by, ma pronti a cogliere le opportunità della ripresa. Qui ancora non ne percepiamo l'arrivo, ma gli istituti di ricerca ne segnalano la presenza.
La nuova banca così rafforzata non potrebbe assumersi l'onere del salvataggio della BCC dei Due Mari?
Francamente, ci auguriamo che la BCC dei Due Mari possa tornare presto in bonis e recuperare un ruolo di presidio molto importante per il territorio.
In ogni BCC vi sono migliaia di soci, dipende dalla loro dimensione, che all'atto della loro costituzione vengono sollecitati e blanditi in tutto i modi per aderire al progetto. Al momento della crisi vengono scaricati senza tanti complimenti. Quando nasce, si fa un gran clamore, quando muore, muore in silenzio e i soci non vengono coinvolti in nessun modo.
I soci delle Banche di Credito Cooperativo hanno un ruolo molto importante nella scelta della governance, ma anche nel riempire di significato i meccanismi democratici che caratterizzano l’identità delle nostre banche. L’Assemblea dei Soci è, senza dubbio, il momento decisionale più alto nella vita di una BCC, perciò, non è realistico pensare ad una governance che si formi e si mantenga in carica senza l’appoggio della compagine sociale.
Non c'è il rischio di perdere anche la Federazione, per la continua diminuzione dei suoi membri?
Credo che non vi sia questo rischio al momento, più che del numero delle BCC bisogna preoccuparsi del loro stato di salute e della capacità di rispondere alla esigenze del territorio.
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