L'Europa delle banchedi Oreste Parise Mezzoeuro Anno XII num. 23 dell'8/6/2013 |
Rende, 5/6/2013
Piccola rivoluzione in arrivo da Bruxelles
Dopo un travaglio lungo e doloroso, l'Unione Europea ha iniziato il faticoso cammino di riforma di un settore che ha prima provocato un'euforia di crescita e poi ha dannato l'Europa all'inferno di una crisi senza fine.
Con un ritardo abissale rispetto alle esigenze dell'economia reale, e rispetto a quanto hanno fatto le economie anglosassoni, Stati Uniti e Inghilterra, anche l'Europa sembra prendere coscienza della necessità di riformare il sistema bancario e la regolamentazione del mercato finanziario.
L'assurdo è che non si è ancora arrivati alla piena consapevolezza che questo è un problema urgente e necessario, anzi è il problema da risolvere per tentare di uscire dalla crisi.
Il dato più evidente è costituito dal fatto che la causa principale è dovuta alla caduta delle convenienze speculative del capitale finanziario, che ha assunto una dimensione tale da non riuscire più a trovare condizioni di operatività che gli consentano di accumulare profitti derivanti dagli spregiudicati giochi d'azzardo borsistici.
Sono almeno tre le cause più evidenti del big bang che ha colpito l'economia: la speculazione finanziaria, i paradisi fiscali e le distorsioni delle scelte economiche operate attraverso un uso spregiudicato del sistema dei rating finanziari. Il vero dramma è che la politica ha perso completamente il controllo di questi tre elementi fondamentali del funzionamento dell'economia.
Non è certo un caso che dopo la grande crisi del 1929, vi è stato un grande recupero del potere di intervento dello stato in economia, con una drastica limitazione del potere d'intervento e di discrezionalità da parte degli operatori privati.
Il presupposto dell'economia capitalista era l'esistenza di un mercato concorrenziale, dove la piena libertà concessa a una miriade di operatori, ciascuno dei quali non poteva da solo influenzare e determinare le condizioni del mercato, provocava ipso facto un percorso virtuoso verso l'equilibrio ottimale del sistema.
In tutti questi anni si è operato esclusivamente nella direzione della creazione di mercati oligopolistici, non solo, ma soprattutto nel settore finanziario. Il mercato si è ristretto a un numero esiguo di operatori con un potere enorme di condizionamento del comportamento del sistema. Questo ha consentito di diventare un potere illimitato, al di fuori e al di sopra di qualsiasi capacità di controllo del potere pubblico. Siamo tutti in balia di pochi operatori senza scrupoli in grado di determinare il destino di interi stati e giocare con la vita di milioni di persone che si ritrovano in balia del rating.
Sembra che finalmente l'Unione abbia preso coscienza che il primo passo per il superamento della crisi è di sconfiggere la speculazione: i grandi operatori finanziari mondiali devono sbranarsi tra di loro, ma non possono pretendere che l'intera collettività si faccia carico dei disastri provocati dai loro comportamenti suicidi.
Le grande banche di investimento assomigliano più a dei casinò finanziari, dove si specula su tutto, dal prezzo del petrolio all'andamento dell'economia greca, fino alla performance del Bayern Monaco. Non si chiede di abolire i casinò, ma non è certo concepibile che vengano addossate sulla collettività le perdite dei giocatori, o il fallimento del banco. Una ipotesi quest'ultima che è puramente teorica, perché il comportamento del casinò risponde a una ferrea logica stocastica, si avvale del favore del caso ponendo limiti precisi alle puntate e ai premi.
La speculazione finanziaria è molto più rischiosa e pericolosa poiché non vi sono vincoli alla fantasia ludica dei giocatori, che possono continuare a giocare al di là di ogni ragionevole limite.
Tra banche speculative, o d'affari o d'investimento e le banche commerciali, o retail o di risparmio che dir si voglia vi è un abisso, una differenza sostanziale che deve essere immediatamente percepita da chi vi si rivolge. Abbiamo vissuto un lungo periodo in cui le banche hanno lucrato profitti sulla buona fede dei risparmiatori, rifilando prodotti finanziari, come i bond Parmalat, per poter recuperare i loro crediti.
Sembra che ormai anche a livello europeo sia diventato chiaro che occorre una netta separazione tra l'attività di trading e le operazioni “tradizionali” (deposito e credito) destinate al finanziamento dell'economia reale. Questa è una buona notizia, che arriva con un ritardo abissale e colpevole da parte delle istituzioni comunitarie che non hanno percepito in tempo i pericoli del sistema e le conseguenze che avrebbero potuto provocare l'estensione delle pratiche di gioco d'azzardo all'economia.
Quello che appare inaccettabile nella proposta europea è l'idea di voler applicare la divisione tra gli operatori su una base strettamente quantitativa. Ciò significa che solo le grandi banche dovranno scindere le due attività, quella speculativa e quella commerciale, per evitare il rischio di crisi che imporrebbero un intervento pubblico a tutela degli speculatori. Come è puntualmente avvenuto fino adesso, poiché questi elefanti finanziari sono "too big too fail", troppo grandi per fallire senza creare un vero e proprio crollo dell'intera economia. Quanto più è grande la loro dimensione e quanto più è grande la voragine che hanno provocato tanto più si rende necessaria un'ancora di salvataggio. Per continuare a provocare altri disastri, poiché gli aiuti concessi non ne snaturano l'attività né gli impongono vincoli al loro operato. Le valutazioni proposte nel documento hanno natura prettamente qualitativa, ad eccezione delle analisi riferite alla soglia dimensionale degli operatori potenzialmente soggetti alla separazione.
Le natura speculativa delle banche d'affari deve essere chiaramente percepita da chi intende usufruire dei loro servizi, che dovranno essere coscienti che potranno godere degli alti profitti degli affari andati a buon fine o subire le perdite dei loro azzardi. Non vi può essere alcuno scudo sotto forma di fondo di garanzia, ma devono essere soggette al "bail-in" integrale. Ciò significa che i clienti della banca partecipano al rischio e si devono accollare anche le conseguenze di un eventuale fallimento, uniti nell'euforia dello scialo e nella e nella mestizia di un breakdown.
L'unico criterio accettabile è la separazione funzionale, a prescindere dalla loro dimensione. Le banche commerciali vanno separate dalle banche d'investimento, senza se e senza ma. L'obiezione più immediata è che in questo modo si impedisce a quelle di poter sfruttare le occasioni offerte dai mercati borsistici per la ricerca dei ricavi necessari a far quadrare i conti, poiché la sola attività di intermediazione finanziaria non sarebbe più in grado di garantire l'equilibrio economico per il restringimento della forbice dei tassi.
La storia finanziaria passata e recente dimostra che il vero problema delle imprese non è qualche frazione di punto in più o in meno, ma la disponibilità delle risorse necessarie a effettuare gli investimenti per mantenersi competitivi in un mercato che cambia. Il business plan di un investimento non può dipendere dalla leva finanziaria, ma dalle opportunità di mercato, il che significa che deve essere la componente reale dell'economia a tornare ad essere il benchmark degli investimenti, le opportunità di mercato, le innovazioni e la ricerca.
L'incentivazione puramente finanziaria degli investimenti ha prodotto solo disastri, non solo economici ma anche morali, poiché ha distrutto le basi stesse delle valutazioni che devono guidare la ricerca degli investimenti profittevoli.
Un aspetto del tutto aberrante è costituito dal riversamento della crisi sulle parti più deboli del sistema, dagli stati come la Grecia, alle categorie più indifese come le classi a reddito fisso, che si sono viste espropriate del loro potere d'acquisto senza aver avuto alcun ruolo e alcuna colpa nella determinazione della crisi.
Le banche d'investimento devono "giocare" esclusivamente con le proprie risorse e non poter fare affidamento in nessun caso su di un intervento pubblico, non giustificato dal carattere speculativo della loro attività. A loro è applicabile un sistema di vigilanza prudenziale, poiché è necessario porre dei vincoli alla loro attività per impedire che continuino a creare delle torri di carta finanziaria che hanno inquinato il panorama economico internazionale.
Al contrario le banche commerciali non possono essere soggette semplicemente a delle regole automatiche, poiché gli automatismi non possono sostituire il processo di valutazione personale. La gestione della liquidità è diventata una attività meccanica, affidata a sistemi elettronici, tra carte di credito più o meno intelligenti, e i vari device elettronici. Lo stesso non può essere applicato al sistema di valutazione del merito creditizio e dei progetti di investimento che al contrario hanno bisogno dell'intervento umano, personale per essere efficaci.
A tutte va impedito il rapporto con il sistema finanziario che opera nella zona grigia dei paradisi fiscali, dove si nascondono i proventi delle attività illecite che entrano nel circuito della speculazione alimentando questi circoli viziosi che hanno portato alla esplosione incontrollata della crisi.
Cinquant'anni di vigenza della vecchia legge bancaria non avevano mai prodotti dei disastri così diffusi e generalizzati. Anche il più altro grado di professionalità nella valutazione non è scevro di errori e di approssimazioni, ma è un sistema che ha garantito la crescita e lo sviluppo.
Il processo di indebitamento è certamente altamente rischioso se ha come prospettiva solo un incremento dei consumi, ma è la leva più importante per sopportare i processi di crescita.
Il sistema bancario italiano ha dimostrato di poter dare delle risposte molto positive aiutando le imprese anche con un rapporto di capitale quasi nullo, poiché gli obiettivi strategici hanno un carattere politico che non può essere misurato con operazioni meccaniche. La vigilanza sulle banche commerciale deve assumere un carattere più penetrante, ma meno meccanicistico poiché è necessario intervenire nei momenti di difficoltà come quelli che stiamo vivendo con una politica attiva, in grado di dare delle risposte ai bisogni delle imprese sane che si trovano a vivere un momento di difficoltà per i profondi cambiamenti del mercato. Le imprese devono essere stimolate e accompagnate ad effettuare gli investimenti necessari per ripartire e non lasciate in balia degli usurai.
Il banchiere deve ritornare ad essere colui che conosce il mercato e accompagna le imprese nel processo di crescita e le sostiene nei momenti di crisi. I bonus hanno introdotto nel meccanismo una distorsione fondamentale perché hanno provocato una spasmodica ricerca del profitto per poter partecipare al banchetto. Le loro retribuzioni sono già abnormi rispetto a qualsiasi criterio di valutazione dell'apporto al risultato complessivo, che è frutto della sinergia di tutto il personale. Le norme introdotte che limitano gli arbitri dei manager vanno salutate con favore, ma è ancora un intervento troppo timido, poiché l'equità sociale vorrebbe che fossero aboliti immediatamente e comunque, se essi vanno premiati nei momenti di vacche grasse, dovrebbero essere penalizzati in caso di crisi aziendali, addossandogli il peso della loro cattiva gestione.
Il rating costituisce un sistema assurdo di valutazione della politica della spesa, sia di natura pubblica che privata, poiché non pone alcuna distinzione tra il consumo e l'investimento, tra lo spreco e la spesa produttiva. La costruzione delle strade, o la riconversione energetica non sono spese improduttive, ma investimenti necessari per la crescita e lo sviluppo.
Nel complesso la nuova legislazione introdotto a livello europeo contiene degli elementi di novità, ma si tratta ancora di un passo molto timido nella costruzione di un sistema economico finanziario che sia in grado non solo di dare un contributo alla crescita, ma anche al riequilibrio nella distribuzione del reddito e dei patrimoni, poiché la concentrazione della ricchezza che ha trovato proprio nel sistema finanziario il suo principale strumento di attuazione non può che provocare una riduzione dei consumi e un restringimento delle opportunità di investimento per tutti.
Il sistema bancario, inteso come l'insieme delle banche che opera nella intermediazione finanziaria dell'economia reale, deve ritornare a diventare il sistema arterioso dell'economia per dare alle imprese la linfa necessaria per ripartire.
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