Tre sindaci al funerale del comunedi Oreste Parise Mezzoeuro Anno XII num. 24 del 15/6/2013 |
Rende, 12/6/2013
Il futuro dei piccoli comuni è incerto, poiché rischiano di essere travolti dalla prossima introduzione della TARES.
Forum di discussione con Giovanni Manoccio, sindaco del comune di Acquaformosa, Giuseppe Rizzo, sindaco del comune di Cerzeto e Vincenzo Tamburi, sindaco del comune di S. Basile
Professor Manoccio, cos'è questa storia del manifesto mortuario, una provocazione?
Giovanni Manoccio è il sindaco di Acquaformosa che ha instaurato uno stile di comunicazione molto originale, tendente a polarizzare l'attenzione sulle problematiche dei comuni che stanno soffrendo la politica dello spending review. Dietro una formula anglosassone si nasconde un severo tagli alle spese, una riduzione dei servizi e se proprio si vuole continuare ad erogarli saranno direttamente i cittadini a doverli pagare. Si vuole trasformare le imposte e le tasse in tariffe "obbligatorie", poiché i servizi a cui fa riferimento non sono a domanda individuale, ma si è costretti a pagare a prescindere dalla prestazione.
Un po' quello che avviene con i rifiuti. Bisogna pagarla anche se la casa resta chiusa tutto l'anno perché i proprietari abitano altrove.
"Non si tratta di provocazione", risponde il sindaco di Acquaformosa, "ma di un disperato tentativo di polarizzare l'attenzione dell'opinione pubblica su quanto si sta verificando nei comuni. Qui si avanti a sigle, ma dietro si nasconde una verità drammatica. Si parla tanto dell'IMU, senza pensare che in fondo è un problema secondario, il vero dramma è la TARES, che sarà una vera e propria mannaia che cadrà sulla già esauste tasche dei cittadini e noi non sappiamo come dirlo ai cittadini. Ancora oggi non siamo in grado di quantificare il gettito presunto, tanto che il governo ha autorizzato gli enti locali a posporre l'approvazione del bilancio preventivo di quest'anno al prossimo settembre. Una assurdità poiché sapremo quanto potremmo spendere quando dovremmo già averli spesi e iniziare a fare un rendiconto. Quello che conta sono i dati, il gettito IMU del mio comune per l'anno scorso è stato di 4.000 euro, perché abbiamo deciso di applicare il minimo consentito. Dalla TARES dovremmo raccogliere circa 100.000 euro, più di venti volte tanto".
"I nostri comuni sono delle realtà marginali" interviene Giuseppe Rizzo, sindaco di Cerzeto, "con una economia molto fragile. Un lavoro precario in un call center, o un posto di LSU appare già un privilegio, un lusso. Le retribuzioni non superano i sette/ottocento euro al mese e con la mannaia di trovarsi disoccupati da un giorno all'altro. In queste condizioni il principio che i cittadini devono pagarsi i servizi pubblici diventa un incitamento al suicidio politico, poiché i comuni più poveri, dove non vi è una presenza significativa di benestanti, professionisti, impiegati, imprenditori o altro non potranno garantire dei servizi pubblici decenti. Dovremmo dire alla gente, andate ad abitare altrove poiché qui possono restare solo coloro che hanno una vocazione da eremiti. Quella del sindaco Manoccio può apparire una provocazione, e certo lo è in senso positivo, poiché mette il dito in una piaga reale. Con la TARES noi dovremmo far ricadere sui cittadini il costo totale della raccolta e smaltimento dei rifiuti (finora si trattava di una parte), il costo dell'illuminazione pubblica e dell'acqua che il comune acquista dalla Sorical. Questo significa passare dai circa 24.000 euro dell'IMU a più di centomila che il comune dovrebbe raccogliere per la TARES, un peso insopportabile per i nostri cittadini."
"Questa è una grande ingiustizia", aggiunge Vincenzo Tamburi, sindaco di San Basile, "perché mette sotto lo stesso piano situazione profondamente diverse. Il mio comune è da anni soggetto a una emigrazione tale che rischia di essere completamente desertificato. Abbiamo messo in vendita le case abbandonate a un valore simbolico per invitare la gente a venire ad abitare qui, a spendere magari gli anni della pensione. Devo dire che l'iniziativa ha avuto un certo successo, poiché vi sono stati acquisti da parte di alcuni americani, israeliani e persino dei toscani, i quali hanno anche ristrutturato gli immobili. È una goccia nel mare, ma potrebbe essere l'inizio di un movimento significativo e positivo non solo per la comunità di San Basile. Una buona politica è quella di incentivare questi flussi, soprattutto con servizi pubblici efficienti. Chi compie questa scelta cerca delle soluzioni che offrano condizioni di vita civile, di servizi organizzati. Nessuno è interessato a vivere nel degrado. Faccio presente che questo è uno dei tanti obiettivi dimenticati dell'Europa."
Voi siete i tre promotori della iniziativa. Tutti e tre primi cittadini di comunità arbëresh ...
Manoccio: "Più che di una questione etnica, si tratta di una caratterizzazione socio-economica. Il disagio che esprimiamo nasce dalla condizione marginalità dei nostri comuni, che vivono anche tutti i paesi interni della Calabria. Gli arbëresh si sono insediati nei luoghi più impervi loro assegnati, perché hanno ripopolato i tanti paesi abbandonati per calamità naturali o per il crollo demografico provocato da guerre, epidemie e invasioni saracene. Memori del nostro passato abbiamo creato un centro di accoglienza per gli immigrati e rifugiati politici che ha dato una certa vivacità alla nostra comunità. Se vogliamo far rinascere le nostre comunità e non abbandonare un patrimonio storico, artistico, culturale e anche architettonico dobbiamo incentivare quante più persone possibili a venire nei nostri paesi. La politica di accoglienza va sostenuta con l'offerta di servizi eccellenti, altrimenti non si riuscirà a invertire la tendenza. La cultura arbëresh è un patrimonio da tutelare e conservare, poiché può costituire uno degli elementi della rinascita. Nel corso di cinque secoli si è conservata con la chiusura delle comunità, oggi dobbiamo imparare a difenderla in un contesto aperto, in un mondo interconnesso. Questa è un'altra grande sfida che ci troviamo ad affrontare a mani nudi, per la decurtazione delle risorse".
Giuseppe Rizzo: "I paesi interni della Calabria vivono un disagio analogo, tanto che il grido di dolore lanciato da Giovanni Manoccio è stato subito raccolto da molti altri comuni come Santa Caterina Albanese, Civita, Frascineto, San Martino di Finita tutti arbëresh, ma hanno risposto anche Longobucco, Lattarico, Sant'Agata d'Esaro, Diamante e tanti altri. Non vogliamo trasformare la nostra in una rivendicazione etnica, semplicemente mettere in risalto che questa condizione di disagio viene vissuta in maniera particolarmente grave dalla comunità arbëresh. Cerzeto, ad esempio nel decennio tra gli ultimi censimenti ha fatto registrare il tasso di spopolamento più elevato di tutta la provincia di Cosenza. Per qualche anno sembrava che il flusso si fosse interrotto, ma oggi sembra aver ripreso vigore e rischia di destrutturare l'intera collettività. In poco tempo sono andate via quattro giovani coppia, in Canada per un viaggio senza ritorno perché non si tratta di partenze stagionali. Finora la preoccupazione maggiore era per la disoccupazione intellettuale, i tanti giovani laureati in cerca di qualche soluzione ma con un occhio sempre rivolto al proprio paese. Ora si rischia un nuovo esodo. Il vero dramma è il lavoro. Abbiamo cercat o di attivare un processo slow food, promuovendo il consumo di beni a chilometro zero, una politica adottata nella nostra mensa scolastica. Abbiamo qui uno dei migliori ristoranti a chilometro zero, che si è impegnato a utilizzare esclusivamente ingredienti prodotti localmente, e ha avuto un autorevole riconoscimento che ha consentito a Cerzeto di essere inserito tra i borghi slow food. Abbiamo anche utilizzato le nostri sorgenti per l'approvvigionamento dell'acqua, ci serviamo dell'acqua consortile solo in alcuni periodi dell'anno. Noi facciamo del nostro meglio per sopravvivere, ma non possiamo restare in piedi se continueranno a penalizzarci."
"Il nostro non è il solito piagnisteo", interviene Vincenzo Tamburi, "non vogliamo dare l'impressione dei soliti meridionali che si lamentano e poi magari sprecano le risorse. Tutti e tre rappresentiamo degli esempi di comuni che hanno attuato delle azioni concrete per rispondere alla nuova sfida della decurtazione delle risorse. Non ci siamo adagiati sugli allori. Abbiamo lanciato delle sfide e semmai vorremmo essere aiutati a volare più in alto, e non sopportiamo che al contrario si voglia tagliare le ali e costringerci a continuare il volo. A San Basile vi è una raccolta differenziata che ha superato gli obiettivi che ci erano stati dati, abbiamo eliminato i debiti fuori bilancio, limitato la contrazione di mutui, rispettato tutti i vincoli che ci sono stati imposti. Non pretendiamo un premio per questo, ma una maggiore considerazione per la specificità della nostra condizione".
Ma quali sono le vostre proposte, cosa avete ottenuto dalla vostra visita a Roma?
G. Rizzo: "Voglio esprimere la mia personale soddisfazione per l'accoglienza ricevuta, che è stata straordinaria. Da parte del pubblico, che ha plaudito per le vie alla nostra iniziativa, dei parlamentari e dei rappresentanti delle istituzioni. Siamo partiti con un po' di apprensione e ci siamo ritrovati circondati da una calda solidarietà. Un particolare ringraziamento a Ernesto Magorno, che ci ha guidato nei meandri della Camera e si è dimostrato affettuoso e comprensivo, e soprattutto molto informato sulla problematica. Quale sindaco di Diamante conosceva bene la condizione dei comuni ed è ben consapevole dei rischi che corrono soprattutto quelli piccoli."
Manoccio: "In particolare vi sono due problemi da sottolineare: la grande responsabilità di affidare a strutture amministrative semplici delle procedure complesse, una condizione che genera confusione e incapacità di dare delle risposte corrette. Il secondo è quello di confondere la gestione di una grande città con il governo di un borgo. Noi siamo un presidio per la difesa del territorio e dobbiamo essere aiutati a costruire una rete di servizi che incentivi la gente a ritornare nei piccoli centri, per recuperare non solo il patrimonio architettonico, ma l'insieme delle relazioni umane, la qualità della vita, riscoprire le radici e le ragioni per costruire un futuro in simbiosi con la natura. Voglio sottolineare che noi siamo dei comuni virtuosi, che abbiamo fatto quanto era in nostro potere per comprimere la spesa pubblica, per eliminare gli sprechi, per introdurre la raccolta differenziata."
Tamburi: "Bisogna anche considerare che laddove le condizioni orografiche del terreno sono più difficili, il costo dei servizi è sicuramente più elevato e non è giusto che ricada sugli abitanti che già sopportano il peso della loro marginalità."
Vogliamo soffermarci sulle proposte? Lasciamo l'ultima parola a Giovanni Manoccio, come iniziatore della protesta.
Rizzo: "Nei nostri incontri romani abbiamo incontrato molta simpatia e molta disponibilità, ma temiamo molto che i meccanismi parlamentari impediscano poi di raggiungere dei risultati concreti. Abbiamo chiesto un incontro al prefetto di Cosenza, che ci riceverà martedì prossimo e noi speriamo che aggiunga la sua voce per l'obiettivo di allentare la morsa del fisco sui piccoli comuni. Ma siamo ben decisi a continuare questa che è una grande battaglia di civiltà. È vero che siamo piccoli, ma insieme rappresentiamo più del 70% della popolazione calabrese".
Tamburi: "Chiediamo a gran voce che venga approvata una legge di tutela e incentivazione per i comuni inferiori a 5.000 abitanti, introdotto un criterio equo con la determinazione dei costi standard dei servizi, una premialità per i comuni virtuosi, e un aiuto per le comunità con alto disagio sociale."
Manoccio: "In questi anni si sono approvate una serie di norme "cieche" da applicare in maniera indiscriminata a tutti senza preoccuparsi delle specificità locali, delle differenze sociali, della capacità contributiva della comunità, del comportamento delle amministrazioni locali. Questo non è ulteriormente tollerabile, ma bisogna ritornare al rispetto delle autonomie locali garantite dalla Costituzione. Annualmente il governo deve stabilire l'ammontare delle risorse da distribuire agli enti locali, sulla base di criteri rigorosi e nel rispetto dei vincoli di bilancio e che poi siano le singole amministrazioni a utilizzarle nel modo più conveniente. Angelo Rughetti, membro della Commissione Bilancio, che sosterrà la ragione dei piccoli comuni con una modifica del patto di stabilità che preveda una premialità per la raccolta differenziata, e un allentamento dei vincoli per i comuni che non abbiano debito fuori bilancio. Noi plaudiamo alle buone intenzioni, ma resteremo vigili per verificare che vengano tradotti in fatti concreti. I precedenti non sono positivi, poiché alla fine tutto è rimasto invariato appellandosi all'impossibilità di abbandonare la logica di riparto lineare delle risorse e dei sacrifici per evitare l'assalto alla diligenza da parte dei parlamentari."
Cosa intendete fare per tenere accesa l'attenzione attorno al problema?
Rizzo: "Noi esprimiamo solo il crescente disagio della nostra gente, perché siamo i primi interlocutori. Non bisogna sottovalutare lo stato di crescente malessere che si manifesta ancora in maniera civile e democratica. Ma le difficoltà sono crescenti e non si può continuare a ribaltare le difficoltà politiche e finanziarie sulle parti più deboli della popolazione. Non bisogna consentire che i borghi più piccoli vengano abbandonati. Questa è una battaglia di civiltà".
Tamburi: "La maggiore difficoltà è ottenere l'attenzione della gente e avere la possibilità di esprimere con chiarezza il senso della nostra protesta. Non stiamo difendendo qualcuno, ma un progetto, una idea, una concezione più umana della politica che si renda conto che dietro ogni cifra di bilancio comunale ci sono interessi umani e sociali. È una battaglia che dobbiamo combattere fino in fondo."
Manoccio: "Vi è un enorme problema di equità distributiva. La diseguaglianza non si manifesta solo tra individui e classi sociali, ma anche la ricchezza e le risorse delle comunità sono distribuite in maniera totalmente ineguale, creando palesi ingiustizie. È necessario soffermarsi a legiferare con una valutazione delle possibili conseguenze delle decisioni che si prendono. Finora ha prevalso la logica dell'emergenza, che ha funzionato da freno e ci ha fatto precipitare nel baratro della recessione. Questo è inaccettabile. Il Sud vive di economia pubblica, e questa è una maledizione da cui dovremo liberarci prima o poi. Ma oggi questa può rappresentare una grande opportunità, perché fornisce la leva per poter attivare i meccanismi di ripresa. Finora il Sud ha rappresentato un peso per lo sviluppo, oggi dobbiamo trasformarlo in una risorsa. Per questo non dobbiamo aver paura di effettuare gli investimenti necessari: le energie alternative, l'acqua, il turismo sono delle sfide che dobbiamo cogliere."
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