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Mezzoeuro

L'economia della provincia di Cosenza: encefalogramma piatto

di Oreste Parise

Mezzoeuro Anno XII num. 25 del 22/6/2013


Rende, 20/6/2013


Undicesima giornata dell’economia

Presso la Commercio di Cosenza è stato presentato il Rapporto sull’Economia della Provincia di Cosenza per l’anno 2012. Un primato in discesa nella regione, il PIL provinciale cala solo dello 0.6%, persino migliore di quello nazionale. Un dato che evidenzia la sofferenza di una provincia che stenta a mantenere il passo, e non trova l’energia per risollevarsi.

Si è tenuta presso il salone della Camera di Commercio di Cosenza l’11esima Giornata dell'Economia, un evento nazionale promosso da Unioncamere e dalle 105 Camere di Commercio, durante il quale si presenta il quadro dell'andamento dell'economia provinciale, attraverso l'analisi delle principali variabili di tipo congiunturale e strutturale.

Al tavolo di riflessione sono intervenuti il Presidente della CCIAA di Cosenza Giuseppe Gaglioti, il Vicepresidente Regionale Confesercenti Domenico Bilotta ed il Responsabile degli osservatori Economici dell’Istituto G. Tagliacarne Paolo Cortese, che ha curato il Rapporto sull’Economia provinciale. Moderatore del dibattito Attilio Sabato, direttore di TEN (Tele Europa Network).

Sono intervenuti numerose autorità civili e militari nonché esponenti del mondo istituzionale, bancario, professionale, sindacale ed imprenditoriale, e consiglieri camerali e giornalisti di svariate testate ed emittenti televisive.

Il rapporto conferma ancora una volta la grave condizione congiunturale in cui versa la provincia brucia, in linea con il resto della regione. Se proprio vogliamo trovare qualche motivo di ottimismo, dobbiamo ricorrere al paradosso. In fondo stiamo un po’ meglio degli altri. Almeno qui in Calabria. Una guerra tra ultimi. Scorrendo le graduatorie del Rapporto per l’anno 2012, troviamo Crotone al primo posto in Italia per tasso di disoccupazione; Cosenza è sesta seguita dalle altre calabresi. La migliore è stranamente Reggio Calabria, che si colloca al 23esimo posto. La situazione si rovescia considerando il tasso di occupazione. Al primo posto in Calabria si colloca Catanzaro, con il 47,7% di occupati e non fa meraviglia considerato che è la capitale burocratica, e l’economia pubblica è l’unica certezza che ancora rimane nella regione. Cosenza si colloca al secondo posto e Crotone conferma il suo stato di coma profondo, seguita nell’abisso dalla provincia di Napoli dove lavora solo il 36,6% della forza potenziale. Una situazione molto simile alla graduatoria del tasso di attività.

Il problema occupazionale è un indicatore di una vera e propria emergenza, poiché gli stessi dati ufficiali raccolti con certosina precisione dall’Istituto Tagliacarne, non esprimono appieno la realtà. Non per una mancanza tecnica, ma per la profonda sfiducia che attraversa soprattutto l’universo giovanile che ormai non si affanna più neanche a iscriversi nelle liste di collocamento, ma resta in stand-by o riprende l’eterna via dell’esodo.

Siamo giunti a una nuova svolta da questo punto di vista. Finora vi era una effervescenza giovanile che portava alla ricerca di qualche opportunità di lavoro in qualsiasi parte d’Italia o del mondo, una mobilità con la ventiquattrore sempre pronta, un mondo di girovaghi pronti a cogliere l’attimo. Un altro fenomeno è in corso, ora, la ripresa della grande migrazione verso mete più lontane, un viaggio senza ritorno che rischia di depauperare il tessuto sociale della regione privandole delle sue forze migliori e più dinamiche.

Il presidente della Camera di Commercio Pino Gaglioti all’apertura dei lavori ha evidenziato la drammaticità della situazione economica dichiarando che si cercherà di evidenziare i punti di reale criticità che frenano o impediscono del tutto lo sviluppo del sistema economico e che dovranno costituire il punto di partenza delle azioni e programmi delle istituzioni ognuno per la propria competenza.

Il punto di maggiore criticità è l’incapacità della provincia a trovarsi un ruolo nel commercio internazionale, una condizione che sarebbe indispensabile in questo momento di crisi del mercato interno con una domanda debole che non riesce a sostenere il ritmo produttivo delle aziende. Il totale dell’export provinciale non raggiunge neanche il fatturato di una media azienda del nord-est e stranamente il mix di prodotti esportati è concentrato sui prodotti manifatturieri. Inconsistente la quota di prodotti agricoli e dei servizi, in particolare il turismo che stenta a riprendersi e dare un contributo significativo all’economia provinciale.

La crisi assume un carattere strutturale poiché sono venuti meno i tradizionali pilastri che hanno sostenuto l’economia dell’intera regione. In primo luogo il settore pubblico mostra un raffreddamento polare, con la decurtazione dei trasferimenti, l’azzeramento delle agevolazioni, la difficoltà di spese degli enti pubblici, la dilazione dei pagamenti che ha raggiunto livelli patologici, il diradamento degli appalti pubblici. Un pianto greco che il recente sblocco dei pagamenti riesce appena ad attutire, ma costituisce una goccia nell’oceano, rispetto alla situazione di grave crisi in cui versa l’intera regione.

L’altro grande pilastro crollato è l’edilizia, che ha provocato anche il crollo del mercato immobiliare. Qui come altrove, ma la Provincia di Cosenza poteva vantare una condizione edilizia effervescente, e la crisi si ripercuote in maniera pesante sull’intero sistema economico provinciale.

Un aspetto messo in rilievo dal vicepresidente regionale della Confesercenti Domenico Bilotta, è che il Sud è il maggior finanziatore delle ripetute manovre per il risanamento della finanza pubblica, tanto per la decurtazione dei fondi, quanto per i successi della lotta all’evasione i cui proventi non sono reinvestiti nelle regioni meridionali, ma sono destinati altrove. In queste condizioni ogni euro recuperato dal fisco nel Sud costituisce un salasso finanziario che sottrae risorse al Mezzogiorno.

La feroce politica di tagli alla spesa pubblica si traduce in una forte contrazione non solo dell’economia pubblica, ma si ripercuote anche nella decurtazione della domanda di beni materiali, e nell’impossibilità di investimenti da parte delle imprese.

A questo si aggiunge la persistente difficoltà delle imprese a trovare i finanziamenti necessari presso il sistema bancario. Il protrarsi della crisi ha indebolito le imprese, ne ha fiaccato la loro solidità e volontà di investimento e trovano delle banche molto riottose nel concedere finanziamenti a fronte di bilanci magri e mancanze di prospettive per il futuro. Non si intravedono spiragli di luce in fondo al tunnel e questo induce alla cautela le imprese nel programmare gli investimenti e le banche nel concedere prestiti. Sono venute a mancare in questo contesto i fondamentali del mercato, con le imprese timorose di chiedere e le banche terrorizzate di concedere. Un mercato debole per abulia, solo i tassi permangono elevati, la forbice non riesce a scendere in alcun modo: in condizione di tassi contenuti per la politica monetaria della BCE, il credito nel Mezzogiorno si paga il 70% in più che al centro Nord, come ha affermato giustamente Domenico Bilotta.

La costruzione della ricchezza a livello provinciale

(dall’11° Rapporto sull’economia della Provincia di Cosenza)

“Nel 2011 il valore aggiunto complessivo della provincia di Cosenza si è attestata intorno agli 11,3 miliardi di euro, il dato più elevato in regione, in aumento rispetto al 2008 di 1,3 punti percentuali. Nonostante l’andamento soddisfacente nel triennio considerato, le stime del valore aggiunto a prezzi correnti per il 2012 non risparmiano la provincia, evidenziando variazioni negative per tutte le ripartizioni territoriali considerate; in particolare, per Cosenza si stima un -0,6 valore prossimo alla media nazionale (-0,8) e decisamente migliore tra le province calabresi, per le quali sono stimate diminuzioni comprese tra l’1,3% di Reggio Calabria ed il 4,5% di Vibo Valentia.

Scendendo nel dettaglio, l’analisi del valore aggiunto suddiviso per settori evidenzia i tratti principali del modello di specializzazione produttiva provinciale che, al 2011, si presenta essenzialmente di tipo terziario: i servizi concorrono, infatti, per l’81,4% alla ricchezza prodotta. Si tratta tuttavia di un’incidenza inferiore alla media calabrese (82,2%) sebbene superiore a quella nazionale di 8 punti percentuali. Il peso dei servizi risulta peraltro invariato rispetto al 2008, motivo per cui la ragione dell’aumento complessivo del valore aggiunto va ricercato altrove: il valore aggiunto del settore primario, infatti, è passato da un’incidenza del 2,4% del 2008 ad una del 4% nel 2011, evidenziando una crescita pari quasi al 37% e sottolineando l’importanza del settore primario sul tessuto provinciale, come si avrà modo di vedere anche in ambito imprenditoriale.

Per quanto concerne gli altri settori, l’industria in senso stretto pesa per l’8% sul valore aggiunto totale, dato lievemente superiore a quello medio regionale ma in calo rispetto al 9,4% del 2008, registrando una variazione negativa del 13,1%. Analogamente, le costruzioni pesano solo per il 6,6% sul totale della ricchezza prodotta, in calo fra il 2008 ed il 2011 del 4,4%, come conseguenza della crisi del mercato edile.

La scomposizione del valore aggiunto all’interno del settore artigiano evidenzia che quest’ultimo pesa sulla formazione del valore aggiunto provinciale per l’11,2% dato in linea con la media regionale ma lievemente inferiore a quella nazionale; come è possibile evincere dai dati, oltre i 50% del valore aggiunto artigiano è prodotto dal segmento dei servizi, che evidenzia un’incidenza di oltre 10 punti percentuali superiore alla media nazionale. Come si avrà modo di vedere, l’artigianato assume valore significativo all’interno del territorio provinciale, non solo in termini economici ed attrattivi, ma anche come identità culturale del territorio; ciò significa che, se sostenuto da opportune politiche di valorizzazione, esso potrebbe rappresentare anche una grande risorsa per lo sviluppo locale dal momento che i dati riguardanti il valore aggiunto artigiano indicano che le sue potenzialità sono ancora largamente inespresse e sottoutilizzate.

In particolare, la sinergia con il turismo e con la filiera del mare potrebbero rivelarsi vincenti: stanti i diversificati flussi turistici che interessano la provincia e le attività legate alla filiera marittima che evidenziano incidenze di tutto rispetto in termini di produzione del valore aggiunto per quanto concerne la filiera ittica, i servizi di alloggio e ristorazione e le attività sportive e ricreative, una strategia di valorizzazione dell’artigianato locale potrebbe essere inquadrata in un più ampio prospetto di rilancio delle tipicità locali, rappresentate appunto dal paesaggio, dalla gastronomia, dalle produzioni tipiche e da tutte le attività legate al mare.

Una ulteriore analisi di interesse risulta costituita dalla ripartizione del valore aggiunto per classe dimensionale delle imprese. Il 69,5% della ricchezza è prodotta dalle imprese con meno di 50 addetti; si tratta di un valore superiore non solo alla media nazionale, ma anche a quella regionale. Tale quadro è compatibile con quanto detto a carico soprattutto dei servizi e con un’imprenditoria agroalimentare in crescita: l’impresa-tipo cosentina è, dunque, una piccola/media impresa operante soprattutto nel commercio e servizi nonché in ambito agroalimentare e con un’imprenditoria artigiana e turistica in potenziale crescita.

La capacità dell’economia cosentina di generare ricchezza aggiuntiva nel sistema produttivo culturale si attesta al 3,8% del valore aggiunto provinciale, incidenza che, seppure superiore alla media regionale, si rivela inferiore al dato medio nazionale (5,4%), denotando significative opportunità di sviluppo in tal senso. L’industria creativa e quella culturale provinciale evidenziano valori di tutto rispetto in merito alla produzione del valore aggiunto, notevolmente superiori alla media nazionale soprattutto nell’ambito dell’architettura e dell’artigianato; tali valori, se incrociati a quelli di una popolazione giovane quale quella cosentina ed alla notevole varietà di beni culturali e storici di cui il territorio è provvisto, evidenziano gli ampi margini di crescita di questo settore e la potenziale creazione di posti di lavoro in tale ambito.


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