Antonio Serra: un anniversario dimenticatodi Oreste Parise Mezzoeuro Anno XII num. 28 del 13/7/2013 |
Rende, 10/7/2013
Stampato da Lazzaro Scorriggio il 10 luglio 1613
Quattrocento anni fa veniva pubblicato il trattato di Antonio Serra che segnò l'inizio dell'economia moderna.
Il 10 marzo del 1613 viene pubblicato a Napoli il “Breve trattato delle cause che possono far abbondare li regni d’oro e d’argento dove non sono miniere con applicazione al Regno di Napoli”. Il quattrocentesimo anniversario è passato inosservato, nella totale indifferenza nello stesso modo in cui fu accolto al momento della sua comparsa.
Questa importante data è stata segnalata da Franco Alimena che intendeva scrivere un articolo per ricordare l'evento, celebrato a Napoli e in altri parti d'Italia, ma del tutto dimenticato a Cosenza, che è la patria dell'autore, Antonio Serra. In verità il luogo esatto della sua nascita non è noto, ma le ipotesi più credibili sono Cosenza, Casole, Dipignano o addirittura Saracena. Un grave lutto familiare gli ha impedito di realizzare il suo desiderio, ma certamente è suo il merito di aver solleticato l'attenzione su questo importante evento.
Il Breve trattato era un libro rivoluzionario per quell'epoca, molto avanzato dei suoi contemporanei nell'analisi della materia economica, ma ci vollero ben 137 anni prima che qualcuno lo prendesse in considerazione e gli attribuisse i meriti dovuti.
Nel 1750, infatti, viene pubblicato a Napoli il trattato "Della moneta" di Ferdinando Galiani, l'illustre economista napoletano subentrato ad Antonio Genovesi nella prima cattedra di economia istituita in Europa da Bartolomeo Intieri presso l'Università di Napoli, nel quale si parla di un importante libro scoperto dall'autore.
« ... il Dottor Antonio Serra Cosentino, nel 1613, presso Lazzaro Scorriggio pubblicò un "Breve trattato delle cause, che possono far abbondare li regni d’oro, e d’argento dove non sono miniere; coll’applicazione al Regno di Napoli", diviso in tre parti.
Chiunque leggerà questo trattato resterà sicuramente sorpreso e ammirato in vedere quanto in un secolo di totale ignoranza della scienza economica, avesse il suo autore chiara e giuste le idee della materia, di cui scrisse, e quanto sanamente giudicasse delle cause de’ nostri mali, e de’ solj rimedj efficaci.»
Dopo la pubblicazione del trattato di Galiani, il nome di Antonio Serra diviene molto noto nel mondo accademico. Nella scuola anglosassone, la più prestigiosa in campo economico, ancora oggi è menzionato, in maniera più o meno estesa, in tutti i testi di storia delle dottrine economiche come uno dei più importanti mercantilisti. A titolo di esempio, si possono ricordare Eric Roll, Joseph Schumpeter, John Kenneth Galbraith, e la Storia economica di Cambridge, che dedicano ampie pagine al nostro personaggio.
Il Trattato che Benedetto Croce definì “lampada di vita”. “Still today, the book is a Holy Grail of economics, gripping the imagination of economic bibliophiles for its extraordinary contents as well as for its mythical rarity”, afferma Sophus A. Reinert in una recente traduzione inglese.
Il libro di Serra fu pubblicato da Lazzaro Scorriggio, uno dei più coraggiosi, intrepidi e lungimirante editori della sua epoca. Contro l'oscurantismo dominante, aveva avuto l'ardire di sfidare tanto il potere regio, quanto il potere ecclesiastico schierandosi sempre dalla parte della scienza e della libertà di pensiero. Bisogna ricordare che tanto il governo vicereale spagnolo di Napoli, quanto il Tribunale dell'Inquisizione usavano metodi brutali per reprimere qualsiasi voce di dissenso.
Lazzaro Scorriggio, nel breve volgere di qualche anno aveva pubblicato i libri molto importanti e delicati che gli avrebbero potuto creare seri problemi di incolumità anche fisica, poiché camere di tortura, forche e roghi lavoravano a pieno regime. Il volume del Serra nel 1613, il resoconto della missione in Cina di Matteo Ricci e la lettera di Fornarini in difesa del sistema copernicano erano tre potenziali bombe ad orologeria.
Nel 1615 pubblica per la prima volta in Italia l'opera di Matteo Ricci, “Entrata nella China de' padri della Compagnia di Gesù cavata da Niccolò Trigauci dai Commentarj del P. Matteo Ricci, e volgarizzata da Antonio Sozzini da Sarzana. Dove si contengono i costumi, le leggi, & ordini di quel regno ed i principij difficilissimi della nascente chiesa, descritti con ogni accuratezza e con molta fede”.
L'opera, conosciuta come “I Commentari, fu tradotta in latino da Nicolas Trigault, un altro gesuita che faceva parte della missione, e per tre secoli è rimasta la principale fonte di conoscenza della Cina in Occidente. È il racconto della missione gesuita in quel lontano paese, un po’ diario e un po’ autobiografia, dove sono riportate “le cose più notabili”, di cui “la magior parte o passorno per le mie mani o seppi molto esattamente”, come afferma Matteo Ricci. “Il suo racconto, a differenza delle relazioni annue interne alla Compagnia di Gesù, “si fa principalmente per i nostri europei”, i quali hanno a disposizione sempre più libri sulle cose della Cina, ma “a nessuno sarà discaro saperle piuttosto da noi, che già trenta anni viviamo in questo regno.....che da altri che mai vennero alla Cina”.
Il gusto per l’esotismo e la ‘chinoiserie’ non era ben visto dalla gerarchia ecclesiastica per il timore che potesse ingenerare un incontrollabile entusiasmo nei confronti di mondi pagani portatori di usi e costumi contrari all'etica e alla morale cattolica. L'edizione di Lazzaro Scorriggio divenne subito molto rara e circolava in maniera semiclandestina benché non fosse stata inserita nell'Indice dei libri proibiti.
L'altra sfida del coraggioso editore fu la pubblicazione nello stesso anno 1615 della “Lettera del R.P.M. Paolo Antonio Foscarini Carmelitano sopra l'opinione de' pittagorici, e del Copernico della mobilità della terra, e stabilità del sole, e del nuovo pittagorico sistema del mondo” e il De divinatione artificiosa, che dovevano formare un unico volume con De oraculis, che Foscarini, Padre provinciale della Calabria dell'Ordine dei Carmelitani, diceva già pronti per la pubblicazione.
Egli aveva esibito l'imprimatur firmato dal vicario generale napoletano Pietro Antonio Ghiberti e dal canonico Giovanni Longo, teologo della curia partenopea, che provocò una disputa giudiziaria in sede del Tribunale dell'Inquisizione, che che coinvolse anche l'editore, Lazzaro Scorriggio. Egli fu posto agli arresti e sottoposto a giudizio con l'accusa di aver pubblicato dei libri senza la necessaria autorizzazione della Curia. Il 5 marzo 1616 la Congregazione dell'Indice decreta la proibizione dell'opera includendola nell'Index Librorum Prohibitorum (Indice dei libri proibiti). Allo stampatore veniva contestato di avere utilizzato l'imprimatur rilasciato per il libro “De divinatione” per pubblicare anche la “Lettera” di contenuto eretico, poiché il su contenuto era in contraddizione con il testo letterale della Bibbia. Lazzaro Scorriggio, convinto della giustezza delle tesi sostenute da Padre Antonio Foscarini, pubblicò anche la difesa del sistema copernicano sedici anni prima che fosse pubblicato il Dialogo di Galilei.
I due imprimatur erano identici, e questo significava che la Lettera non era stata autorizzata, ma si era artificiosamente utilizzato l'Imprimatur rilasciato per il Trattato della divinatione naturale, sempre edito da Scorriggio, Il tipografo si difese spiegando che Foscarini gli aveva consegnato un solo manoscritto, contenente le due opere, per cui egli aveva creduto che l'autorizzazione valesse per entrambe. Alla fine il tribunale si convinse della buona fede di Scorriggio e lo liberò, condannandolo soltanto a una multa, e a mantenere un rigoroso silenzio sull'accaduto.
Il volume di Serra, pubblicato qualche anno prima, non era meno pionieristico e rivoluzionario. Il libro riportava la dedica a Pedro Fernández de Castro y Andrade, conte de Lemos, terzo Duca di Ossuna, viceré di Napoli e l'autore dichiarava di averlo scritto nelle carceri della Vicaria, dove dimorava da oltre un anno. Era evidente il tentativo di rivolgersi all'eminente personaggio per cercare una soluzione alla sua triste condizione, proponendosi, in qualità di uomo "dotto", come consigliere economico in grado di porre rimedio ai mali del Regno. Si trattava di un tentativo coraggioso, perché a dispetto della sua condizione di detenuto, vi era una condanna esplicita del sistema di governo vicereale e della sua politica economica.
All'alba della moderna economia, infatti, Serra scrisse una penetrante analisi delle cause della ricchezza e povertà delle nazioni. Benché il suo contributo alla storia della economia politica deve considerarsi fondamentale, e il modo in cui venivano formulate le indagini teoriche erano straordinariamente moderne, inizialmente ebbe molte difficoltà a farle accettare, perché stravolgevano le pratiche e le teoriche dominanti negli ambienti accademici e politici.
In tutta Europa, gli studiosi avevano iniziato ad interessarsi della struttura dell'economia sin dall'inizio del sedicesimo secolo. Più specificamente, le teorie economiche cominciavano a individuare il carattere rivoluzionario del processo industriale, e che era necessario un processo di specializzazione con l'importazione di materie prime da trasformare in prodotti finiti destinati ai mercati esteri.
Nella sua "Storia del Regno del Sud", Benedetto Croce scrive:
"... Antonio Serra, calabrese di Cosenza, nel 1613, mandò fuori dalle carceri della Vicaria, dove stava rinchiuso, un saggio di economia con applicazione speciale al Regno di Napoli, e del quale non si sa altro se non che era colà già da un anno, accusato di falsa moneta, per esserglisi trovato in casa un pezzo di oro o di lega e che, quattro anni dopo, avendo ottenuto di parlare con il viceré duca di Ossuna per comunicargli cose utili allo Stato, fu udito, presenti i consiglieri, ma, giudicandosi che avesse detto “ciarle e chiacchiere senz’altro concludere”, fu rimandato in carcere. Morì nel carcere? Quali erano state le vicende della sua vita? Un suo amico, in certi distici di fronte al suo libro, lo dice “adusato da lungo tempo a patire sfortuna e povertà”, e ora “giacente atterrito e stretto da duri ferri il piede”. Forse quel pezzettino d’oro o di lega (come congettura l'Amabile) egli lo serbava per ragioni di studio; e l’accusa, o piuttosto il sospetto che ci era stato gettato in carcere, certamente non fu mai comprovata, e sembra che non avesse fondamento. Forse sull’uomo di pensiero e di studi s’inseriva in lui un ingenuo, un fantastico, un progettista. Fors’anche, la miseria lo trasse a errori e colpe, crudelmente espiate. Confesso che molte volte mi accade di perdermi con l’immaginazione in quella figura, preso dall’impero di penetrare il suo mistero, preso da deserta pietà verso quell’uomo vituperato e disonorato, e quasi da un umano rimorso per le tremende ingiustizie alle quali la società, ignara e sconsiderata, si lascia andare, travolgendo e calpestando i germi della vita, virtù d’intelligenza e di cuore"ii.
Nel brano del Croce sono sintetizzate tutte le poche notizie che abbiamo sulla sua vita.
Oltre al suo libro, infatti, rimangono solo due altri documenti. Il primo è un atto per notaio Bartolo Giordana di Napoli datato 23 dicembre 1591, riportato parzialmente da Vincenzo Napolillo, nel quale si può desumere la sua origine e poche notizie sulla sua famiglia.
Il secondo documento in cui appare Antonio Serra è il "Giornale del governo del Signor Duca di Ossuna nel Regno di Napoli" compilato da Francesco Zazzera, richiamato nel brano precedente di Benedetto Croce. Nella cronaca di Zazzera si legge che mercoledì 6 settembre 1617 "un dottore Antonio Serra, carcerato in Vicaria da molto tempo, mi ha fatto chiamare da S.E. per volere fare grande utile alla corte, onde venuto in palazzo, presente la Camera, con le ciarle, non ave altro concluso che chiacchiere, e se n'è ritornato in carcere"i. E vi dimorava ormai da oltre cinque anni. Antonio Serra aveva chiesto di essere ricevuto alla Corte vicereale poiché da qualche mese a Napoli era arrivato un nuovo viceré e il Serra sperava di potersi appellarsi alla sua sensibilità per ottenere la sospirata libertà. Neanche questo tentativo ebbe però successo poiché fu giudicato "cerretano" e ignorante e lasciato marcire in carcere.
Da queste poche notizie possiamo dedurre che nel 1591 era già laureato con una buona esperienza, per cui doveva avere almeno 25-30 anni: la sua nascita può essere fatta risalire, quindi, intorno al 1560-65. Quando scrisse il suo libro ventidue anni dopo, avrebbe avuto circa 45-50 anni. La sua morte, in una condizione di estrema miseria e dimenticato da tutti, è posteriore al 1617, ad una età certamente superiore ai cinquant'anni. Nel Dizionario di politica curato da Norberto Bobbio si presume che sia nato nel decennio 1550-60 e morto nel 1620-25.
Fu quindi un contemporaneo di Tommaso Campanella, nato a Stilo nel 1568 e morto a Parigi nel 1639. Questo fa ritenere che i due si conoscessero, anche perché condivisero per molti anni la stessa sorte rinchiusi nel medesimo carcere della Regno. Altrettanto verosimile è che egli conobbe Bernardino Telesio, nato il 1509 e morto nel 1588 quando Antonio Serra era già adulto, probabilmente studente universitario. Al momento della morte di Telesio, Tommaso Campanella era nel convento dei domenicani di Altomonte, oggi sede del Museo Civico, la cui piazza gli è dedicata, e aveva chiesto il permesso di poter vegliare la salma, ma non gli fu consentito dai suoi superiori. Ma si potrebbe supporre che Antonio Serra avesse preso parte alle cerimonie funebri del grande filosofo cosentino.
Sono passati quattro secoli e il suo libro risulta paradossalmente ancora attuale, poiché anche oggi viviamo una interminabile crisi provocata dal sistema finanziario. All'epoca di Serra il problema più urgente era la circolazione monetaria legata alla disponibilità dei metalli preziosi. La Spagna aveva sprecato la grande occasione della enorme disponibilità auree delle sue colonie americane utilizzate per una tronfia politica di espansione senza preoccuparsi dello stato dell'economia interna.
La moderna Europa ha sprecato a sua volta la grande opportunità della creazione di moneta unica concentrando la sua attenzione e i suoi sforzi nella politica finanziaria e rinunciando al suo primato industriale. Come sosteneva Serra quattro secoli fa, se uno stato non dispone di miniere di oro e di argento deve fare affidamento sull'industriosità dei suoi abitanti. Il suo insegnamento è un monito a ritornare al primato dell'economia reale sulle sofisticazioni finanziarie che hanno prodotto un grave disastro nell'economia mondiale.
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