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Mezzoeuro

Depressa e corrotta

di Oreste Parise

Mezzoeuro Anno XII num. 44 del 2/11/2013


Rende, 31/10/2013


Presentato il IX Rapporto annuale sull'economia della provincia di Cosenza a cura di Banca Mediocrati La recessione non fa più notizia. È accettata da tutti come evidente ed ineluttabile. L'analisi della Demoskopika non poteva che prenderne atto La sfida è di individuare impietosamente le cause e tentare di creare i presupposti per una economia onesta Imprenditori vittime di estorsioni.

«Serve un'associazione antiracket regionale, la richiesta ai 5 prefetti calabresi e al Consiglio regionale per ripulire le istituzioni dalla corruzione».

A scorrere i dati contenuti nell’indagine dell’istituto Demoskopica, realizzata per la banca di Credito Cooperativo Mediocrati, in Calabria gli operatori economici che avrebbero ricevuto richieste estorsive sono circa 15mila. Una cifra a tre zeri che dovrebbe far scattare un vero e proprio allarme sociale da parte delle istituzioni competenti se non fosse che, almeno secondo questo studio, parte delle richieste estorsive partirebbero proprio dall’interno delle istituzioni.

Secondo lo studio i maggiori danni li riceverebbero le imprese edili e dei servizi rispettivamente con il 13,2% e 13%, seguiti subito dopo dagli imprenditori agricoli (11,7%), mentre le percentuali minori si registrano tra le imprese commerciali (2,4%) e dell’industria (8,7%).

Ma il dato mortificante è che il 45,8% degli imprenditori intervistati ha ammesso che la motivazione più frequente della richiesta di tangenti è la velocizzazione di una pratica ed a richiederla sarebbero, nel 26,1% dei casi, i funzionari che gestiscono gli appalti pubblici e, nel 17% dei casi, i politici.

È una notizia che, pur non sorprendendo, nulla toglie al rinnovo della comune indignazione per un potere corrotto che si pone sullo stesso piano della criminalità organizzata, creando un sistema malato che inficia le regole del mercato e del

Il Rapporto sull’economia della provincia di Cosenza curato dalla Demoskopika su incarico della Bcc Mediocrati costituisce un appuntamento annuale che riunisce attorno ad un tavolo autorevoli personaggi chiamati a discutere sulle condizioni della congiuntura e proporre correttivi per evitare il declino e riagganciare il treno della crescita.

Quest’anno nella sala “De Cardona” del Centro direzionale credito della banca ospitante, a fianco del presidente della banca ospitante Nicola Paldino e del segretario Federico Bria, Luisa Zappone, direttore Banca d’Italia di Catanzaro, Nino Floro direttore Ricerca Demoskopika, Lino Busà, presidente Sos Impresa, Maria Teresa Brassiolo, presidente Transparancy international Italia e Claudio Galtieri, presidente della Corte dei Conti della Lombardia.

La lettura del Rapporto è sconfortante. Più che una fase recessiva, il Mezzogiorno sembra vivere un lungo percorso di inarrestabile declino. I numeri sono impietosi. Il mondo imprenditoriale della provincia, ma il discorso potrebbe estendersi senza modifiche significative all’intera regione, sembra aver rinunciato al suo ruolo di forza propulsiva dello sviluppo. Il lungo periodi di intervento straordinario ha provocato l’incapacità delle imprese di confrontarsi con il mercato e cogliere le opportunità che la trasformazione dell’economia mondiale offre.

L’80% delle imprese denuncia una diminuzione del fatturato e ancor maggiore è la percentuale di quelle che chiudono l’esercizio in perdita. La crisi si ripercuoto sul sistema del credito con una forte contrazione delle concessioni. Il “credit crunch” è causa ed effetto nello stesso tempo della crisi. Sarebbe necessario fornire alle imprese le risorse necessarie per gli investimenti, ma lo stato di crisi in cui versano non consente loro di programmare le azioni di rilancio e alle banche di avere gli elementi per una valutazione positiva delle richieste.

Maria Teresa Brassiolo nel suo intervento si sforza di fornire alcuni elementi di speranza. L’Italia è ancora una potenza industriale, mantiene il secondo posto come produttrice di beni manifatturieri ed è leader in molti settori tanto che si assiste a una forte ripresa dell’export. Dalla crisi stanno emergendo nuove e interessanti realtà che hanno la potenzialità di suscitare un nuovo miracolo italiano. Questo segnale di speranza, però non trova alcun riscontro nella nostra regione che rischia la desertificazione industriale e non riesce a proporsi neanche nei settori che potrebbero e dovrebbero essere i settori propulsivi, come il turismo e l’agricoltura. L’incapacità delle imprese meridionali di inserirsi nei mercati internazionali e la scarsa capacità attrattiva del territorio per gli imprenditori nazionali o esteri costituisce l’elemento di maggiore debolezza dell’economia meridionale: la Calabria costituisce il fanalino di coda con un movimento di export irrilevante.

Lino Busà lancia l’allarme di una impresa ricacciata nel limbo dell’illegalità trascinando con sé l’intero sistema economico, costretto a sopportarlo per evitare il collasso sociale. Ormai le uniche forme di occupazioni hanno natura sommersa, senza alcuna tutela e senza alcun diritto. In un simile contesto la corruzione diventa un mezzo di sopravvivenza, un espediente per superare gli ostacoli buracratici ed amministravi che impedirebbe un “libero” esercizio dell’attività imprenditoriale, improntata all’arbitrio e all’abuso. Questo sistema imprenditoriale assicura la mera sopravvivenza, ma non consente la programmazione della vita dei lavoratori sfruttati. Questa situazione di precarietà si traduce in una diminuzione del tasso di natalità che non assicura più neanche il ricambio generazionale. Tra squilibrio naturale e emigrazione il futuro è uno scenario di un lento declino non solo economico ma anche demografico.

«Siamo rimasti solo noi a tentare di arginare il declino sostenendo famiglie ed imprese», sostiene Nicola Paldino,recentemente chiamato alla guida della Federazione Calabrese delle Bcc, «ma il nostro sforzo non può essere sufficiente e rischiamo di essere risucchiati nel vortice», conclude. La discussione si concentra sulla corruzione, che costituisce il focus del Rapporto di quest’anno, macigno legato al collo della regione che rischia di farla sprofondare.

Nino Floro sciorina i dati cercando una quantificazione del fenomeno corruttivo, trasformando in numeri gli episodi denunciati dalla stampa, dalle sentenze dei tribunali, dalle relazioni della Corte dei Conti. Si tratta di approssimazioni grossolane, poiché siamo di fronte a un iceberg la cui massa nascosta è informe e illeggibile non essendo riusciti ancora a trovare una chiave di decodificazione del fenomeno. Il dato che emerge è una parte irrilevante del fenomeno poiché la difficoltà di trovare una risposta legale ai bisogni induce a una generalizzata e spasmodica ricerca di soluzioni personali di natura politico-clientelare.

La crisi denunciata dalle indagini statistiche non si è ancora tradotta in un visibile abbassamento del tenore medio di vita, ma iniziano a manifestarsi fenomeni diffusi di deprivazione materiali tipici delle società povere che avevamo sepolto nella nostra memoria. Frugare nella spazzatura, ricorrere alla mensa della Caritas, rinunciare alle cure mediche preventive sono fenomeni che vanno estendendosi a strati crescenti di popolazione.

La difficoltà reali sono denunciate dalla fuga che va assumendo la dimensione di un esodo biblico, come denunciato dall’ultimo rapporto Svimez. La Calabria ha perso in un quinquennio quasi duecentocinquantamila giovani, per la gran parte con un grado di istruzione superiore o universitario.

Una perdita umana, ma anche economica poiché l’istruzione e la formazione costituiscono il primo e più importante investimento delle famiglie.

La perdita della componente più attiva e dinamica della popolazione impedisce la costruzione di un futuro di crescita e di sviluppo. Secondo il modello introdotto dallo Svimez per poter ripartire è necessario investire sui driver di sviluppo, eliminando le cause che impediscono un funzionamento corretto dell’economia.

La corruzione è una delle externality negative che ha assunto un carattere così diffuso da costituire un ostacolo alla ripresa economica.

Claudio Galtieri ha illustrato con numerosi esempi tratti dalla sua esperienza personale come Presidente della Corte dei Conti Lombardia, la diffusione del fenomeno corruttivo che investe la pubblica amministrazione, la classe politica, ma ha finito per provocare una assuefazione anche nel rapporto tra privati.

I recenti episodi emersi nel Nord hanno dimostrato che è in atto un processo di meridionalizzazione dell’economia, che diffonde il suo cancro ben oltre i suoi confini naturali. La diffusione del fenomeno sembra inarrestabile. Tuttavia, la sua percezione è molto maggiore nel Nord per il maggior senso civico che porta all’emersione del fenomeno corruttivo, che al Sud resta coperto dall’omertà provocata dal maggior stato di bisogno.

Nel Sud “Mani pulite” non è mai iniziata e la lunga crisi ha ulteriormente dilatato i confini della illegalità. Il costo economico e sociale è rilevantissimo, anche se non quantificabile. Le indagini giudiziarie si occupano di una parte molto piccola del totale degli episodi, le indagini si fermano alla dazione illegale di denaro o altri favori, ma non sono in grado di quantificare il maggior costo dell’opera provocato dal fenomeno corruttivi, in termini di costi aggiuntivi o utilizzo di materiale di scarsa qualità.

L’indagine sulla corruzione presentata nel Rapporto evidenzia che «il fenomeno corruzione è considerato uno dei principali problemi del nostro paese dall’89,7% del campione degli imprenditori della provincia di Cosenza, mentre solo il 9,5% è in disaccordo con tale affermazione».

«Complessivamente per l’insieme delle istituzioni (media dei quattro livelli, locale, regionale, nazionale ed europeo) si evidenzia che un’elevata percentuale di imprenditori della provincia (81,4%) ritiene siano pervase dalla corruzione. Ciò significa che gli imprenditori sono convinti che la corruzione sia presente ad ogni livello istituzionale e sia un fenomeno inevitabile».

Il dato forse più significativo e preoccupante è che il 58% degli imprenditori esprime la convinzione che il fenomeno corruttivo sia una prassi comune della gestione aziendale, faccia parte della “cultura aziendale” ed è necessaria per sopravvivere in una società corrotta.

Queste le amare conclusioni: «La responsabilità del dilagare del fenomeno nel nostro Paese è attribuita principalmente alla politica, a causa dei suoi stretti legami con il mondo degli affari: un imprenditore su due (51,3%) è convinto che questo rapporto contribuisca ad alimentare la corruzione nella società e nel proprio contesto, poco meno del 50% pensano che i politici non stiano facendo abbastanza per combattere la corruzione nel loro paese e un quinto degli intervistati (21,6%) denuncia la mancanza di trasparenza nel modo in cui viene speso il denaro pubblico. Importante sottolineare che nelle domande non è specificato quale governo e quale ala del parlamento, dunque, l’opinione è riferita generalmente alla politica. Minori le percentuali di quanti individuano quale causa scatenante del fenomeno la clemenza e la poca severità nelle pene inflitte nei confronti dei soggetti che compiono reati legati alla corruzione (12,6%) o la non efficace applicazione della legge da parte delle autorità preposte (10,1%) e ancora l’attribuzione di incarichi nella Pubblica Amministrazione non basati su criteri di merito (10,8%)».

Claudio Galtieri sottolinea che “tangentopoli” non è mai finita. Dopo una breve flessione, il fenomeno si è riproposto in maniera ancora più virulenta assumendo un carattere più generalizzato e personale. Questa costituisce uno dei principali ostacoli alla crescita per l’imponenza dei valori coinvolti e la distorsione provocata nell’allocazione ottimale delle risorse, nell’aumento del costo degli appalti pubblici, nel mancato riconoscimento delle professionalità, dell’esperienza, delle competenze e del merito.


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