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Mezzoeuro

Il IV novembre a Cerzeto

di Oreste Parise

Mezzoeuro Anno XII num. 45 del 9/11/2013


Rende, 7/10/2013


Il Comune ha voluto ricordare, ha colto l’occasione per omaggiare Tadeusz Wojtarowicz, quale riconoscimento per la sua dolorosa esperienza durante la II Guerra mondiale nei campi nazisti

L’amministrazione comunale di Cerzeto ha voluto ricordare, il IV novembre scorso, i caduti nelle guerre e le forze armate. Ha colto anche l’occasione per omaggiare Tadeusz Wojtarowicz, quale riconoscimento per la sua dolorosa esperienza di deportato, durante la II guerra mondiale, nei campi nazisti.

Il 27 gennaio prossimo, in occasione della festa della memoria, il prefetto di Cosenza gli consegnerà in forma ufficiale e solenne una medaglia per ricordare la sua storia e il suo sacrificio. Si tratta di un riconoscimento molto particolare connesso con la vicenda che lo ha visto protagonista da giovane e che ora il Ministero degli Interni ha inteso ricordare. La sua presenza nella comunità di Cerzeto merita qualche spiegazione, poiché le sue vicende personali forniscono un esempio di come vicende lontane possono entrare direttamente nelle nostre case senza preavviso. La storia non attende risposte, non si ferma a fornire spiegazioni. Viene direttamente a trovarci, bussa alla nostra porta, entra nelle nostre case senza preavviso, diventa familiare senza avvertirci. I sopravvissuti di quella grande tragedia ce li siamo trovati accanto, sono diventati parte di noi senza che ce ne siamo accorti. Abbiamo convissuto con loro per anni, qui o in tutti i luoghi sperduti dove ci ha spinti il desiderio di dare un calcio alla miseria. Oggi siamo qui per consumare un rito, ma non dobbiamo perdere l’occasione di riflettere su quanto avvenuto in un passato che sembra remoto, ma potrebbe ritornare. Dobbiamo rinnovare il ricordo di quegli orrori per scongiurare il pericolo che la perdita di memoria ci porti un’altra volta nel baratro.

John Wojtarowicz. Già il suo nome pone qualche interrogativo. Da dove viene, come è arrivato qua, perché è diventato un concittadino di una terra lontana e straniera? Da dove vengono tutte queste persone sbucate dal nulla, dai visi stralunati, dai colori esotici, dalle facce emaciate? Dietro le loro storie vi sono guerre, insurrezioni, primavere arabe, conflitti tribali, insurrezioni contro governi tiranni. A questo si aggiunge la violenza della natura che sembra volersi vendicare del comportamento irresponsabile degli uomini, non solo nei confronti dei propri simili, ma con i continui attacchi che esercita sugli equilibri naturali. I disastri naturali, le inondazioni, i terremoti, la siccità e tutte le declinazioni possibili delle piaghe bibliche, che si sono moltiplicate e compaiono contemporaneamente in paesi diversi, sembra siano la conseguenza delle alterazioni provocate dall’uomo.

Quanti milioni di persone sono direttamente interessate a questi sconvolgimenti e perché dovremmo occuparcene? Dobbiamo forse preoccuparci di quanto avviene in Siria un paese lontano e estraneo al nostro mondo e alla nostra cultura. Cosa importa di quanto accade in quel paese misterioso? Proviamo un senso di pietà per i tanti bambini dilaniati in questo orribile conflitto, ma poi ritorniamo con la mente alle nostre occupazioni quotidiane. E così la Somalia, il Sudan, l’Iraq dove si consumano immani tragedie, realtà di cui non conosciamo quasi nulla. Oggi viviamo la tragedia dell’esodo biblico che interessa questi popoli con distacco, con indifferenza e noia. Domani la storia potrebbe ancora una volta bussare alla nostra porta, e dovremo allora accorgerci che essi sono tra noi, che ci verranno a trovare e li ritroveremo tra i nostri cari.

John Wojtarowicz con la sua storia personale è una testimonianza del legame che unisce vicende lontane al nostro quotidiano. Il suo particulare nasce dalla più immane tragedia, che ha provocato una carneficina senza precedenti nella storia. Per dare una risposta alle domande che ci siamo posti bisogna infatti riandare indietro nella memoria, ritornare a quel remoto 1939 che evoca fantasmi dimenticati: Hitler, il nazismo, l’invasione della Polonia, la deportazione degli ebrei. Eventi remoti di cui nel nostro piccolo comune si aveva solo qualche eco lontana in quel momento. In un breve volger di tempo è diventato uno tsunami che ha investito le nostre piccole comunità. Con l’entrata in guerra dell’Italia vi è stata la chiamata alle armi di tutti gli uomini validi ed anche questi piccoli paesi hanno dato un tributo di eroismo e di sangue con la partecipazione di tanti nostri concittadini alle battaglie combattute su teatri lontani.

Il nostro eroe “malgré soi” ha conosciuto subito gli orrori della guerra. Il piccolo villaggio dove viveva una vita decorosa e tranquilla è

stato uno dei primi ad aver subito l’invasione nazista, mettendolo a

ferro e fuoco e deportando la maggioranza dei suoi abitanti. Al ritorno dalla scuola, in una giornata qualsiasi, si sono trovati radunati nella piazza del paese circondato dai soldati, mentre tutto intorno

accadevano le cose più inverosimili. Gente che si gettava dalle finestre per sfuggire e veniva inseguite dalle pallottole e uccise senza pietà, uomini, donne, bambini trascinati fuori per una crudele selezione per dividerli secondo i bisogni e le necessità belliche degli

invasori.

Egli è stato costretto ad assistere all’orrore dell’incendio della casa

di suo zio, dove lasciarono morire tutta quella povera famiglia tra

le fiamme, compresi i figli ancora minorenni. Aveva solo quattordici anni. La sua famiglia fu deportata e dispersa. I genitori, la sorelle di otto anni e il fratello più piccoli di soli sei sono stati “impacchettati” in un treno e spediti in Germania per riempire i vuoti

creati nell’industria, nell’agricoltura e in tutti i settori produttivi, dalla militarizzazione di tutti gli uomini validi. Cosa erano diventati,

prigionieri di guerra, schiavi, detenuti politici, lavoratori forzati? Il

fratellino è morto quasi subito dopo il suo arrivo in Germania, degli altri non ha saputo più nulla. Era diventato un oggetto senza anima e senza alcuna dignità umana e tutela giuridica.

La definizione del loro status non aveva importanza alcuna. La Germania aveva bisogno di braccia, poiché gli uomini validi erano diventati militari e spediti su fronti lontani per conquistare il mondo. Al loro posto furono utilizzati i civili deportati dai territori conquistati, uomini, donne, bambini di cui si alteravano i dati anagrafici per rendere legale l’illegalità poiché vi era il divieto di utilizzare ragazzi al di sotto del previsto limite minimo di età.

Si ritrovò a Northeim nell’azienda agricola di Wilhelm Hartmann. Per superare questo divieto, lo stesso John ha una data di nascita alterata. Si potevano tollerare soprusi, abusi, violenze, stermini, torture. Ma non si poteva consentire a un minore di lavorare! Schiavi sì, ma rispettando le forme legali. “Arbeit macht frei”, era il motto beffardo che accoglieva i deportati nel Lager di Auschwitz. Il lavoro rende liberi! E per sempre dopo una breve visita in un forno crematorio.

Nessuno si è mai preoccupato di definire quali fossero i loro diritti. I trattati internazionali prevedono una tutela dei prigionieri di guerra e il trattamento cui dovevano essere sottoposti. La deportazione dei civili è un atto arbitrario, barbaro, che non ha alcuna previsione di tutela legale. In questo limbo ha vissuto per tanti anni il nostro John, perdendo la sua identità, la sua nazionalità, la sua famiglia, l’infanzia e il diritto a vivere una esistenza serena.

Egli non ha conosciuto gli orrori dei campi di concentramento, ma è stato ridotto nella condizione di schiavitù per quattro lunghi anni, con la proibizione di usare la sua lingua, di conoscere la sorte dei suoi cari, di poter aver contatti con l’esterno. Una esperienza che ha lasciato un tratto indelebile nel suo carattere. Per superare questo shock ha voluto cancellare il proprio passato, ha rifiutato la sua infanzia e continua a rifiutarla. Per difendersi dal proprio passato ha disperatamente cercato di rimuoverlo, di cancellarlo, di non rivivere quegli incubi che lo hanno ossessionato e rincorso per tutta la vita. Non è mai più tornato in Polonia da quel giorno, non ha mai più voluto rivivere quei momenti, ricordare quell’orrore.

Ancora adolescente si è ritrovato solo, in un Paese straniero, senza parole e senza alcun affetto, obbligato a lavorare a forza di minacce e maltrattamenti. Una vita d’inferno, con l’angoscia di non sapere nulla della propria famiglia, della madre, del padre, della sorella dispersi chissà dove.

Cosa avrà provato Tadeusz Wojtarowicz quando gli inglesi lo hanno liberato? John è nome gli è stato imposto perché gli inglesi trovavano ostico e inconsueto quello suo Tadeusz, Taddeo il “magnanimo”, uno dei discepoli di Gesù meno conosciuti. Dal 17 marzo del 1944 al 15 aprile 1948 è stato ospite del campo profughi di Moringen gestito dall’esercito inglese.

Con il loro arrivo ha guadagnato la libertà e la dignità di uomo, ma con il nome ha perso la sua identità, la sua lingua, la sua cultura. Si è ritrovato straniero nel mondo, senza patria, senza famiglia, senza un passato e con un futuro incerto. Nel suo lungo percorso è stato costretto a rinunciare alla sua lingua natale ed imparare il tedesco, l’inglese, l’italiano, per finire con l’arbëresh. Una Babele alla quale ha risposta con la semplicità delle sue scelte, il totale rifiuto del passato, e una comunicazione essenziale.

Non ha mai più conosciuto il senso della propria famiglia, ha ritrovato il padre in Francia e la sorella in America, ma non hanno mai più avuto la possibilità di vivere insieme le gioie e i dolori, le angosce, le ansie e le speranze della quotidianità.

Noi conosciamo John, ma nessuno di noi conosce Tadeusz, conosciamo quello che è diventato ma non riusciamo a immaginare il ragazzo violentato nella sua infanzia. Forse neanche la trascrizione del cognome è conforme ai registri anagrafici del suo paese.

Smorgozow è un minuscolo paese agricolo che si fa persino fatica a trovare su Google Maps, nella Provincia di Stopnica vicino alla città di Rzeszow. Nei suoi ricordi è un piccolo villaggio agricolo dove la vita scorreva tranquilla e serena, in una condizione di dignitosa povertà.

La fine del conflitto non ha chiuso questa parentesi dolorosa, ma ha lasciato una eredità di macerie e devastazione, una disperazione profonda e la voglia di ricominciare, il desiderio di far trionfare la vita sulla morte, la ricostruzione sulla distruzione che la guerra aveva provocato. Si è ritrovato solo, ancora una volta senza lingua, e apolide, avendo rifiutato di fare ritorno al suo paese natale.

Cosa significa apolide? Un uomo senza stato, senza patria, senza riferimenti sentimentali e materiali. Gli viene offerta la possibilità di ricostruirsi una vita come lavoratore alla British Railways. Comincia così la sua seconda vita tra i relitti della guerra che si ritrovano a sera a ricordare quei lunghi anni in Germania e tentare di risalire faticosamente la china. Tra le nebbie di Albione ha conosciuta Irma,

che è diventata la compagna della sua vita e lo ha portato tra noi, gli ha regalato due splendidi figli e una vita normale.

In quel luogo di emigrazione, due destini si sono incrociati, la povertà ha incontrato la tragedia della guerra creando dei legami indissolubili come solo lo stato di necessità sa fare. Le difficoltà hanno unito due debolezze generando un albero pronto ad affrontare qualsiasi avversità, pronta a ricominciare il ciclo della vita.

Oggi Johnny è qui perché è diventato nostro concittadino, in questa comunità ha ritrovato la serenità e una patria, avendo acquisito la cittadinanza italiana e come tale, il Ministero degli Interni ha deciso di riconoscere il suo sacrificio subito in quegli anni lontani con la medaglia che gli verrà consegnata il giorno della memoria. Il suo valore è puramente simbolico, e costituisce un momento di riflessione, di ricordo delle grandi tragedie che abbiamo vissuto i tanti che sono stati sconvolti nel loro quotidiano da quella grande tragedia, costretti a subire un drammatico destino contro la loro volontà e senza esserne pianamente consapevoli dell’orrore che stavano vivendo.

John non è l’unico protagonista di quella storia che è entrato nella nostra comunità. Ma ve ne sono stati molti altri, che si coglie l’occasione di ricordare.

Ilko Sentchuck, marito di Anita Parise, ucraino, anche lui deportato in Germania e da li portato in Inghilterra dagli inglesi. Uomo mite, generoso, allegro che ha lasciato una testimonianza di come si possono superare le prove più dure, le violenze più brutali mantenendo inalterata il suo carattere, la capacità di trasmettere una serenità d’animo, una voglia di vivere che lo ha accompagnato fino alla fine dei suoi giorni.

Walter Tokarczyk che si era unito in matrimonio con Anita Calabria, che hanno vissuto serenamente la propria vita in Francia aiutandosi reciprocamente nelle avversità. È stato tra noi per poco in fugaci visite.

Jan Cyper, polacco anche lui, sposato con una Nellina Bruno, recentemente scomparso a Mongrassano nel lungo periodo di esilio forzato a seguito dello sgombero di Cavallerizzo, per la nota frana. Uomo molto pio, ha vissuto lungo anni tra noi stimato e onorato. In tanti lo ricordano ancora come un devoto e assiduo frequentatore delle cerimonie religiose nella chiesa di San Giorgio a Cavallerizzo.

Nicola Peredeszki legato teneramente con Iolina Bellusci con un matrimonio celebrato per procura, senza conoscersi, senza avere una lingua comune, senza alcuna certezza economica. Vivono a Londra, ma sono venuti spesso a incontrare amici e parenti di questa comunità. Sono ancora insieme dopo più di cinquant’anni, un esempio di unione che ha resistito ad ogni avversità. Insieme sono partiti dal nulla, hanno costruito una famiglia, hanno realizzato un patrimonio materiale e di affetti.

Vi sono ancora tanti altri sparsi in ogni parte del mondo che hanno conosciuto una simile esperienza dolorosa che hanno incrociati i loro destini con nostri concittadini, di cui non conosciamo i nomi. Essi non ricevono medaglie, poiché Tadeusz Wojtarowicz è l’unico ad aver acquisito la cittadinanza italiana.

Nel giorno tradizionalmente dedicato alle Forze armate e dobbiamo cogliere l’occasione per testimoniare l’affetto nei confronti di questi nostri connazionali che dedicano la loro vita alla difesa della nostra libertà, e danno un grande contributo al mantenimento della pace in molti teatri internazionali con le azioni di peace keeping sotto l’egida dell’Onu per impedire il ripetersi della follia distruttrice della Seconda Guerra mondiale. L’esercito italiano è oggi espressione dello spirito della nostra Carta Costituzionale. L’art. 11 recita solennemente che «l’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali». Il nostro esercito svolge una funzione democratica e rifiuta l’uso della guerra a scopo di oppressione, imposizione, conquista, soluzione di controversie.

Alla fine della cerimonia il sindaco ha consegnato a tutti coloro che hanno vissuto quella dura esperienza (o si familiari per quelli assenti), una pergamena come pegno di affetto dell’intera comunità diventata il loro mondo. L’intreccio degli affetti e delle relazioni che hanno costruito hanno restituito loro il senso della vita e il calore della famiglia.

A tutti i bambini delle scuole elementari e medie del comune che hanno partecipato alla cerimonia è stata consegnata una pergamena con tutti i nomi dei caduti nelle due guerre


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