Un gentile regalo alla casta bancariadi Oreste Parise Mezzoeuro Anno XII num. 48 del 30/11/2013 |
Rende, 29/10/2013
Si apre lo scrigno della Banca d'Italia on servirà ad alleviare le sofferenze dei nuovi poveri, ma a impinguare il capitale e la rendita parassitaria delle banche partecipanti
Prima della celebrazione del decennale della sua mancata applicazione, sembra che la legge 262 approvata in pompa magna e con urgenza nel 2005 sta per essere finalmente completata con l'emanazione del decreto di attuazione da parte Ministero competente (il MEF, Ministero Economia e Finanza).
È assolutamente necessario premettere qualche rigo di chiarificazione poiché l'argomento è apparentemente solo tecnico e non riguarda la vita dei comuni mortali. La situazione ideale per poter disporre in maniera arbitraria e assolutamente senza controllo del patrimonio pubblico.
La grande riforma bancaria del 1936 ha reso la Banca d'Italia, costituita sotto forma di società per azione, l'unica banca emittente e il suo capitale distribuito tra le principali banche, tutte rigorosamente pubbliche: i sei istituti di credito di diritto pubblico (Banco di Napoli, Istituto San Paolo di Torino, Banco di Sicilia, Monte dei Paschi di Siena, Banca Nazionale del Lavoro e Banco di Sardegna) e le tre BIN (Banche di Interesse Nazionale, Banche Commerciale Italiana, Banco di Roma e Credito Italiano) e altri enti pubblici e assicurazioni.
Il capitale era ed è rimasto una componente del tutto irrilevante nel funzionamento della Banca d'Italia, la cui attività, continua ad essere costituita da funzioni esclusivamente pubbliche: la politica monetarie con la regolazione dell'emissione di monete e banconote, oggi passata alla BCE, e l'attività di vigilanza e controllo del sistema creditizio, che per quanto riguarda i grandi gruppi sta per essere ceduta alla stessa BCE). Nessuna di queste dipende dalla condizioni di mercato, sono funzioni pubbliche che solo per finzione sono state organizzate sotto forma societaria di natura privatistica, ma non hanno ne un prezzo né una domanda né una offerta. Il suo ruolo di organo di controllo impedisce semmai che essa possa avere alcun ruolo dirette nel mercato creditizio e finanziario.
L'Assemblea annuale della Banca d'Italia è stato, e continua ad essere anche se in tono minore, uno dei principali momenti della vita politica nazionale, non certo per l'approvazione del bilancio della banca trattata alla stregua di una mera formalità. Il momento clou dell'Assemblea era costituito dalla Relazione annuale sulla condizione economica del paese, uno dei principali documenti, se non il più importante, delle analisi della congiuntura economica e delle possibili correzioni di politica economica necessari per fronteggiare le difficoltà del momento.
Le Considerazioni finali del Governatore hanno rappresentato una sorta di Bibbia economica con Luigi Einaudi, Guido Carli, Paolo Baffi e così via e ascoltate in religioso e sussiegoso silenzio da parte degli principali attori politici ed economici.
La strana natura della Banca d'Italia è stata una fortuna per i suoi dipendenti che godono di un regime assolutamente privilegiato, che non viene mai messo in discussione e oggi si sta tramutando in una manna anche per le banche aderenti.
Rispetto all'assetto originario i partecipanti al capitale sono profondamente cambiati non solo nel nome, ma soprattutto nella natura giuridica. Ieri erano pubbliche anche se alcuna in forma privata, oggi sono private nella forma e nella sostanza e si apprestano a spartirsi lo scrigno accumulato nel corso degli anni, e alla cui formazione non hanno dato alcun contributo neanche sotto forma di partecipazione di capitale. L'acquisto delle quote nel 1936 è stato fatto rigorosamente con fondi pubblici e mai più nel corso degli anni sono stati chiamati a finanziare l'istituto. La grande trasformazione del sistema bancario e i processi di concentrazione avvenuti negli ultimi anni hanno accresciuto enormemente il peso percentuale del capitale della Banca d'Italia detenuta dai gruppi bancari di maggiori dimensioni.
In un documento riservato "Un aggiornamento del valore delle quote di capitale della Banca d'Italia" redatto dai professori Franco Gallo, Lucas Papadernos e Andrea Sironi si afferma però che "Ciò non ha creato problemi di sostanza, grazie alle norme che limitano i diritti dei partecipanti, ma è necessario evitare la possibile (erronea) percezione che la Banca possa essere utilizzata dai suoi maggiori azionisti". Si è creato un vero e proprio pasticcio, poiché il quadro giuridico originario, l'assetto proprietario degli istituti e le funzioni stesse della Banca d'Italia sono profondamente cambiati, come si è riconosciuto con la legge richiamata sopra.
Gli esperti interpellati sostengono però che "Il modello caratterizzato da una proprietà privata del capitale va preservato; l'assetto proprietario e la struttura di governance hanno garantito per decenni la piena indipendenza della Banca d'Italia". Per corroborare questa tesi richiamano l'esempio della Federal Reserve dove circa il 38% delle 8039 banche commerciali negli Stati Uniti ha lo status di azionista del Federal Reserve System, mentre le banche commerciali a statuto federale ne fanno parte per legge.
"In secondo luogo," - continua il documento degli esperti - "occorre evitare che si dispieghino gli effetti negativi della legge n. 262 del 2005, mai attuata, che contempla un possibile trasferimento allo Stato della proprietà del capitale della Banca. L'equilibrio che per anni ha assicurato l'indipendenza dell'Istituto, preservandone la capacità di resistere alle pressioni politiche, non va alterato". Il problema reale non è certo la definizione della proprietà dell'Istituto (e si continua ad usare per essa una terminologia riservata agli enti pubblici non a caso), è un aspetto assai secondario della questione, poiché nella sostanza siamo di fronte a un ente che svolge funzioni esclusivamente pubbliche e solo per convenienza è stato organizzato sotto forma privatistica.
In questo caso non si tratta di disquisire del sesso degli angeli e indire un concilio a tale scopo, ma è in gioco un rilevante patrimonio, la cui destinazione riveste un grande e concreto interesse per la finanza pubblica.
Che possano esserci degli equivoci da chiarire lo rileva lo stesso studio, dove si rileva che "è necessario modificare le norme che disciplinano la struttura proprietaria per chiarire che i partecipanti non hanno diritti economici sulla parte delle riserve della Banca riveniente dal signoraggio, poiché quest'ultimo deriva esclusivamente dall'esercizio di una funzione pubblica (l'emissione di banconote) attribuita per legge alla banca centrale". Bisogna evitare che i partecipanti pretendano di appropriarsi del tesoro della Banca d'Italia costituito nel corso degli anni con l'esercizio del signoraggio della moneta.
Le due componenti economiche sono costituite dalle riserve, quantificate in 15 miliardi di euro, e dal capitale dell'Istituto, per il quale viene proposto un metodo di valutazione determinato con l'attualizzazione degli utili futuri.
Nelle parole degli esperti. "Secondo i principi generali della finanza, il valore di un'attività finanziaria è pari al valore attuale netto del flusso di reddito che esso genera. Il valore delle quote della Banca è stato determinato utilizzando un Dividend Discount Model (DDM) al fine di stimare il valore attuale netto del flusso dei dividendi futuri che saranno percepiti dai partecipanti in base all'attuale disciplina. Ciò ha richiesto un'attenta selezione dei parametri di base del modello: il risk free interest rate, il tasso di crescita dei dividendi della Banca, il coefficiente Beta delle quote della Banca, l'equity premium, il liquidity discount. Nel complesso, in base alle analisi svolte il valore complessivo delle quote si collocherebbe in un intervallo compreso tra € 5 e 7.5 miliardi".
Tradotto in italiano corrente, ciò significa che si sta per regalare alle banche un patrimonio valutabile tra i 5 e 7,5 miliardi, a cui bisogna aggiungere i futuri dividendi che riceveranno per diritto divino, non avendo (repetita juvant) alcuna funzione da svolgere.
"Ogni ambiguità su tale questione, definendo con chiarezza i diritti economici dei partecipanti e allineando le norme che regolano la distribuzione degli utili a quelle adottate da altre banche centrale con azionisti privati", sostengono gli esperti. Resta senza risposta la domanda in virtù di quale principio degli azionisti che non hanno mai investito niente e non svolgono né sono chiamati a svolgere alcuna attività nella società di cui detengono le quote debbano percepire degli utili.
Gli esperti hanno provveduto a 1) calcolare il valore corrente delle quote della Banca; 2) aumentare il valore del capitale della Banca (al momento puramente simbolico). trasferendo una parte delle riserve a capitale; 3) attribuire ai partecipanti un flusso futuro di dividendi, il cui valore attuale netto sia pari al valore corrente stimato delle azioni della Banca (ponendo contemporaneamente fine a ogni eventuale pretesa sulle riserve statutarie); 4) fissare un limite massimo alla quota di capitale detenibile da una singola istituzione e gruppo, stabilendo un intervallo temporale entro il quale cedere obbligatoriamente le quote eccedenti".
"Le nostre analisi mostrano che nelle attuali condizioni di mercato, qualora il capitale della Banca venisse aumentato a € 6/7 miliardi e considerando un tasso di dividendo del 6 per cento (360 o 420 milioni in termini assoluti), il valore delle azioni dopo la riforma si collocherebbe all'interno dell'intervallo sopra indicato (€ 5-7,5 miliardi)".
Nello scarno linguaggio tecnico si nasconde la verità che alle banche si sta per consegnare il cadeau di una rendita annuale valutabile tra i 360 e i 420 milioni di euro, pari a circa la copertura di una rata di IMU (o come si chiamerà domani l'imposta) sulla prima casa.
Alla fine una questione tecnica si traduce in un interesse concreto. E resta da chiarire in che modo, tolto il signoraggio della moneta, la Banca d'Italia potrà realizzare questo utile e per quale attività le banche sono chiamate a sedersi alla tavola per consumare la succulenta crapula.
Un utilizzo più consono è un aiuto concreto alle fasce più deboli della popolazione che soffre per gli effetti della crisi. E se la Banca d'Italia diventa un ente pubblico, non sarà certo un dramma. Lo è di fatto.
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