Cavallerizzo - f. Provincia di Cosenza -Diocesi. di S. Marco)
Cavallerizzo, borgata del Comune di Cerzeto, fu fondato nell'ultima emigrazione degli Albanesi, verso il 1450. L'epoca precisa della sua fondazione e il nome delle famiglie che per prima vennero qui ad abitare, erano riportati in una vecchia pergamena, che poi andò perduta. Si sa però, che questo luogo fu ceduto ai primi Albanesi dal Principe di Bisignano. Il paesello ha una posizione ridente, un orizzonte vasto, un'aria saluberrima, un'acqua ottima. È situato a piè dell'Appennino Calabrese, e propriamente alle falde del monte Sant' Elia che si erge gigante alla sua testa, quasi volesse proteggerlo.
La vista si spazia su un verde ed ampio panorama. Il paese e i dintorni sono luoghi deliziosi di villeggiatura. I nostri padri, dopo terminata la costruzione delle loro case, deposero la cazzuola e brandirono la spada: tanta era l'invidia e la gelosia degli abitanti dei paesi limitrofi, che dovean spesso ricorrere alle armi per difendersi dai loro brutali attacchi.
Ma, ciò non ostante, il loro primo e costante pensiero fu quello di edificare una Cappella per dedicarla al glorioso Martire S. Giorgio. La Cappella fu edificata; ma non bastando, con l'andar del tempo, a contenere la popolazione, naturalmente accresciuta, fu mestieri gettarsi le fondamenta per la costruzione di una Chiesa spaziosa, di cui S. Giorgio fu il Titolare Patrono. Ma i nostri buoni avi, per deficienza di mezzi poterono appena coprirla; poi l'abbandonarono e per più di un secolo stette la Chiesa in tali condizioni.
Il giorno però in cui dovea recarsi a compimento il Tempio del Martire glorioso, pare che fosse stato stabilito da Dio; e giunse. Il giorno avventuroso e memorando, pieno di esultanza e di santo giubilo fu il 23 aprile 1860; nel qual giorno solenne e benedetto, la Chiesa venne aperta al divino culto. Della sontuosità di quel giorno poco ricordo, e nulla so dire: parli per me il Giornale del Regno delle Due Sicilie del 5 giugno 1860: "Un esempio di vero zelo e straordinario per la gloria della Casa di Dio davano in Cavallerizzo, rione del Comune di Cerzeto in Calabria Citeriore, due degni ecclesiastici, cioè il R.do Parroco D. Gaetano Melicchio ed il suo nipote D. Francesco Saverio".
Mancando colà la Chiesa madre da due secoli, e compiendosi gli uffici divini in un'angusta Cappella, il primo dei prelodati sacerdoti concepì il pio e generoso disegno di ergere un tempio unicamente per oblazioni votive, e si adoperò tanto in sì virtuoso proponimento che il novello edificio giunse quasi alla metà, mentr'egli.toccava gli ottant'anni. L'opera sì ben cominciata dallo zio é co' medesimi sussidi della privata pietà gloriosamente compiuta dal nipote, infiammato a ciò non meno dalla propria pietà che dagl'incitamenti dell'ottimo Prelato Monsignor Parladore Vescovo della diocesi di Sammarco. Il tempio bello e ben adorno fu aperto al culto religioso il di 23 dell'ultimo aprile, festività di San Giorgio protettore del Comune. La magnificenza de' sacri riti fu adeguata alla gioia e all'aspettativa di tutta quella divota popolazione che accresciuta dagli abitanti de' vicini comuni, celebrò la lieta solennità nel modo più memorando.
La benedizione del Tempio fu eseguita con la pompa conveniente dal R.do Canonico Raimondi a ciò delegato dal R.mo Monsignor Vescovo, ed assistito da altri Canonici della Cattedrale di Sammarco. Dopo aver detto qualche cosa dell'origine del paese devoto a S. Giorgio e della Chiesa, passo a parlare del Santo e della sua festa.
I nostri avi venerati, la cui memoria starà sempre viva ne' nostri cuori, completata la cappella di cui ho fatto parola, si provvidero della Statua, e cosi soddisfecero ad una loro vivissima promessa: essi, sin dal partire dall'Albania, dove lasciavano tutte le loro ricchezze, si erano posti sotto l'usbergo dell' invitto Martire. Una vecchia tradizione narra, che per aver la Statua, gli Albanesi dovettero ricorrere ai parenti ed amici della Piana dei Greci in Sicilia; e venne di là una bellissima statua del Santo su un brioso destriere, in atto d'infiggere la lancia nella gola del feroce dragone.
Chiunque qui giunge, uomini o donne che siano, esprimono il desiderio di veder la immagine del nostro Patrono. E vidi io stesso delle gentili signore guardare la statua del Santo con le gote imperlate da calde e sincere lagrime.
La festa del nostro Eroe glorioso si celebra sempre con discreta pompa, con entusiasmo, con slancio di vera devozione. È poi bellissimo vedere la processione. Mentre essa passa per le vie, si vedono pie donne uscire compunte dalle porte delle loro case, e offrire al Santo chi un bel totano adorno di uova o smaltato di zucchero; chi un gallo; chi un agnellino. E qui si vede una novella sposa offrirgli i suoi abiti nuziali, e li delle verginelle offrirgli o un paio d'orecchini, o un anello, o qualche altro oggetto prezioso. Dove gli gettano fiori, dove confetti. Insomma da per tutto è festa; sui volti di tutti si vede dipinta la gioia.
¦Ma, se il popolo è devotissimo al Santo Patrono , questi, da parte sua, sorride ad esso propizio in ogni evenienza, purché sinceramente invocato. E cito qui pochi casi in cui ci diede prova chiara e lampante della sua santa protezione.
Nel 1635 una terribile frana avea invaso il paese, e stava per ingoiarlo: bastò ricorrere a lui, ed ecco arrestarsi la frana , senza che si ebbe a deplorare danno alcuno. Allora il Sindaco, qual rappresentante il popolo di Cavallerizzo, che facea in quel tempo comune da sé, accompagnato da due Mastrojurali o assessori, facendo eco al volere dell'intera popolazione, si presentò dinanzi alla statua del Santo e fece la solenne promessa di presentargli ogni anno nel primo vespero della festa, una torcia di quattro libbre ed una buona quantità di polvere. Il tal voto si osservò per più di un secolo, e propriamente insino a che altro avvenimento doloroso e spaventevole non indusse il popolo a fare altro voto solenne.
Ecco, in poche parole, il secondo funesto avvenimento: Correva il 1720, quando altra terribile frana fece tremar le vene e i polsi agli abitanti di Cavallerizzo. Il popolo atterrito picchiandosi il petto e versando lagrime di dolore, fece nuovo ricorso al Santo Protettore; e questi gli ottenne la grazia perché la terra si fermasse e cessasse lo spavento generale. E il popolo, riconoscente per la grazia ottenuta in forza di atto pubblico redatto per Notar Majerà, si obbligò dare a S. Giorgio, ed in perpetuo, cent. 30 per famiglia; e questo voto si mantiene tuttavia.
Ma non è ancora rotta la catena dei portenti di S. Giorgio in pro' di questa Patria. Era il 1827, e ricorreva il dì delle Ceneri. Il cielo era limpido e sereno; i venti spiravano placidi, e lambivano dolcemente i petali di qualche fiore primaticcio; il popolo riposava, quieto e tranquillo; quando un rombo tremendo, simile allo scroscio dell'acqua di una gran cascata, fece sbigottire e tremare tutta la popolazione. Questa, tremante, corse al luogo della catastrofe, che era avvenuta a pochi metri di distanza dalla Cappella del SS. Rosario, e vide la terra scendere ancora, come masso immenso spiegatosi dal vertice di un monte. Chiamato presto il Parroco, il signor D. Gaetano Melicchio, s'improvvisò una processione e si portarono lì le statue della Madonna del Rosario e di Fati Giorgio. Ed oh miracolo! A misura che passava la processione, rifermava la terra. E il popolo, memore dei prodigi antichi e riconoscente pel nuovo, decise di celebrare ogni anno, in ringraziamento a Maria ed a Giorgio, una festa commemorativa; che si celebra ancora, e sempre col medesimo fervore, e con santo entusiasmo.
Ughelli , nell'Italia sacra, parla della vittoria d' Antiochia del 1096, conseguita per la protezione dell' invitto eroe. E parlano dei miracoli operati da S. Giorgio altri uomini eminenti, quali: Baronio, nella Vita di San Teodoro; Geranio, nella storia dell'Ordine Teutonico; P. Finocchiaro, ne Le Glorie di S. Giorgio ; il Beuter, nella Vita di S. Giorgio; lo Spanesoglio nella Storia di Reggio; il Grueber nella sua opera Mail. Georg.; Giovanni Curopolata nell'Istoria di Costantinopoli ; e taccio degli altri, che sarebbe poi un abusare della pazienza dei lettori.
Ma a che andar troppo lungi, se sulla mia stessa persona egli operò un miracolo che non dimenticherò mai? E sarei , credo, un ingrato, se non pubblicassi la grazia che S. Giorgio fece a me stesso. La Parrocchia sopra menzionata era in via di costruzione; l'impalcatura era sopra i cornicioni; ed io ero sull'impalcatura a vigilare 1'andamento del lavoro. A un tratto, posi incautamente un piede sull'estremità di una tavola priva,da quella parte, di sostegno. L' estremità della tavola si abbassò immantinente; con l'altra estremità che si era innalzata , fui ferito dalla fronte al mento; ero già sceso un due o tre palmi nel vuoto; mi sen-tivo perduto. I muratori, nel momento critico, gridarono esterrefatti: S. Giorgio! e la tavola si trovò subito nella posizione di prima, in sicuro; ed io mi sentii sollevato: ero fuori pericolo! Un altro grido, e questa volta di gioia, eruppe dal petto di tutti; e tutti, ad una voce, gridarono: Viva S. Giorgio!
Ma se l'Eroe della Cappadocia protegge e difende mirabilmente i suoi devoti,
punisce e castiga coloro che l'offendono. Avrei da citare, sul riguardo, molti
esempi; ma di tanti ne scelgo uno, veduto con gli occhi miei. Allorché dovevasi
restaurare questa Parrocchia, si erano ammannite le tavole occorrenti , e si
erano messe a stagionare sul Cimitero della Congrega del SS. Rosario. Una notte,
tre giovani mal consigliati, favoriti da ritte tenebre, pensano di rubarle. Le
avevan prese e stavano trasportandole, quando sentono dietro a loro un calpestio
di cavallo. Si voltano, e a pochi passi di distanza vedono, fra le ombre della
notte, un cavallo bianco con in groppa un cavaliere armato: era S. Giorgio! I
tre ladri, atterriti, si danno alla fuga. Ma il loro spavento fu tale che uno di
essi, colpito da grave malore, mori pochi giorni dopo; e gli altri due andarono
raminghi e morirono da disperati. Se cosi maravigliosa è la tua potenza, o
glorioso mio Patrono, deh! io genuflesso innanzi alla tua Immagine, ti fo la
seguente caldissima preghiera: vedi, come bersagliata, afflitta e oppressa è la
terra che i nostri avi per amore della fede e della patria inzupparono di
sudore e di sangue; vedi quei nostri fratelli al di là dell'Adriatico, come son
trattati da schiavi? Essurge, George, adjuva et libera, nos ab inimicis nostris!
Sorgi, o Giorgio; sorgi,e vieni in aiuto ai nostri fratelli di. Albania. Fa ché
la Tessaglia e l'Ambracia, usurpate dalla Grecia ritornino agli Albanesi; e
con esse Dulcigno, Antivari , lo Podgorizzo e quant'altro il Congresso di
Berlino complimentò ingiustamente al Montenegro.