Cronaca di una morte annunciata,
di Oreste Parise - Rende, 7 marzo 2005 ("Il Quotidiano" del 15 marzo 2005)


Vi era una certa inquietudine l'altra sera a Cavallerizzo. A dispetto del freddo e della pioggia insistente nessuno dei ragazzi si decideva ad andare a dormire. Si gironzolava su e giù per la provinciale, come al solito si direbbe! Una sorta di presentimento, la nebbia nascondeva ogni cosa.  Il cupo ululato del vento sembrava uscire dalle viscere della terra. L'intero paese era avvolto in un silenzio irreale, in un'aria lugubre e triste.

Con quel tempo inclemente, ci si attardava battendo nervosamente i piedi per difendersi dal freddo, fermandosi a parlottare sotto le pensiline dei balconi quasi a cercare riparo. La meta fissa era quell'aggeggio messo li da alcuni anni, il misuratore della frana. Lo strumento messo dal CNR per monitorare la frana era diventato una sorte di passatempo per i giovani che vi ruotavano attorno con curiosità, prendendo continue misure. Ma quella notte era un incubo. I segni non erano confortanti. 

Qualche trafiletto sui quotidiani locali aveva lanciato l'allarme. La pioggia ha saturato il terreno ed il pericolo da sempre incombente sull'abitato, appare imminente. Quest'inverno sembra non voler finire mai, una pioggia continua che dopo qualche momento di tregua,  ricomincia con più insistenza. Con la pioggia il terreno diventa molle, cedevole ed il misuratore segna un abbassamento di un centimetro ogni quattro o cinque ore. Non vi è nessuno a vegliare sul sonno degli abitanti. Solo un gruppo di ragazzi resta a chiedersi se i loro cari dormono sonni tranquilli. Cercano risposte reciprocamente, ripetendo ossessivamente le stesse cose. Col passare delle ore la situazione si aggrava tra la paura, l'incertezza e l'indecisione dei giovani, soli con sé stessi, chiamati a responsabilità più grandi di loro.

Qualcosa scatta, la premonizione primordiale, l'istinto animale li porta a bussare alla porta di Pasquale Tudda, posta proprio sulla scarpata principale della frana. Svegliano tutti per convincerli ad abbandonare la casa, che subito dopo, quasi sollevata di aver potuto evitare una tragedia, comincia a scivolare verso il basso. Sono passate le cinque, la pioggia non accenna a diminuire e quell'aggeggio infernale annuncia disastri. 

Ormai non c'è tempo da perdere. Si cercano le chiavi della Chiesa di San Giorgio. Le campane cominciano a suonare nervosamente, chiamando a raccolta tutti, svegliandoli nel sonno, mentre i ragazzi chiamano ciascuno per nome. Scappare, fuggire, correre, prendere donne, bambini e vecchi. 

San Giorgio, che si dice li abbia accompagnati nel loro lungo cammino dalla Morea in fuga dai turchi, li accompagna ancora una volta con il suono delle sue campane verso una altro futuro ignoto. Non c'è tempo per altro, si lascia tutto nelle case e si corre via con qualsiasi mezzo. Solo qualche vecchio si rifiuta di lasciare la propria casa, abbandonare i ricordi, le piccole cose raccolte in una vita, la foto del figlio, il regalo del nipote, non vorrebbe lasciare niente. Si deve quasi ricorrere alla minaccia per costringere i più refrattari. Tutto avviene spontaneamente in una evacuazione fai-da-tè per il miracolo di questi giovani che non hanno un futuro, ma amano la vita, i propri cari, la propria terra e sono disperati di doverla abbandonare. Il paese diventa spettrale, piombando nel silenzio. La frana inizia il suo devastante cammino. 

La montagna comincia a brontolare, lo scivolamento accelera, il fango sembra voler sommergere tutto. Si fa l'appello per controllare di non aver dimenticato nessuno. Manca Vincenzo Melicchio, il vecchio commerciante, una delle figure storiche ed emblematiche del paese. Dorme ignaro nella sua casa, non toccata dal fronte della frana, che la lambisce dolcemente quasi a volerlo proteggere.  

Quando giungono i "nostri", la Protezione Civile, i Vigili del Fuoco, le autorità e media, tutto è ormai consumato. I Carabinieri intervengono a recuperare l'ultimo abitante, su segnalazione degli stessi sfollati. Non vi è stata alcuna tragedia, nessun morto, nessun ferito per un intervento di auto-difesa, spontaneo, improvvisato da una manciata di giovani. Sarà una notizia di un giorno, poiché manca la drammaticità, il particolare raccapricciante. La normalità di chi ha perso tutto in una notte, i sacrifici di una vita, la quotidianità dei rapporti, il punto di riferimento dei ricordi, la memoria dei luoghi e dei volti, non fa notizia. Tutto sarà presto dimenticato!

Sono tutti pronti a raccogliere i meriti, pronti a compiacersi della tempestività, a raccogliere testimonianze di chi ha visto scivolare via i sacrifici di una vita, di chi non ha più la certezza di poter vivere nei luoghi della propria infanzia, che ha visto sprofondare davanti a suoi occhi i luoghi impressi nella sua memoria. 

Tutto si è consumato senza che nessuno sia intervenuto in tempo. Eppure la situazione era nota da tempo, nel dicembre del 2000 il Dipartimento di Scienze della Terra dell'Università "La Sapienza" di Roma, aveva curato uno studio sul fenomeno e nel "Programma di previsione e prevenzione del rischio nella provincia di Cosenza" si leggeva, in riferimento alla frana di Cavallerizzo che "Anche se tale movimento franoso tende  ad allargare il suo fronte, rischiando di coinvolgere un numero crescente di abitazioni civili ed opere pubbliche, non sono ancora stati attivati interventi di protezione civile né predisposti piani di intervento o di emergenza". Sono passati cinque anni, e quella osservazione oggi suona sarcastica.

Il Dott. Vincenzo Rizzo, del CNR-IRPI di Rende dal maggio 2004 si era notato già un certo movimento e si era invitato il comune a monitorare il fenomeno. All'inizio del 2005 e circa dieci giorni fa, si sono fatte ulteriori misurazioni poiché vi era segnali evidenti che tutto il terreno era in movimento. Si era notato un innalzamento della faglia acquifera di circa 5 metri per effetto delle abbondanti piogge di questi giorni. 

Morte annunciata senza che nessuno abbia mosso un dito per evitarla. Una soluzione poteva essere tentata, sarebbero bastate le opere di drenaggio per far defluire l'acqua. Lo stesso Settore Grandi Rischi della Protezione Civile, aveva sottolineato da qualche anno l'esigenza di intervenire per evitare che la situazione precipitasse.

A Cavallerizzo non vi è più acqua potabile, l'elettricità è stata staccata, i telefoni non squillano più. Vi è il rischio concreto che il paese venga ad aggiungersi agli altri paesi fantasma abbandonati nel corso dei secoli in tutta la Calabria. 

Gli abitanti non chiedono una medaglia, né una particolare menzione per il comportamento civile e composto mantenuto in questa circostanza. Chiedono di poter dare una speranza a giovani ed anziani. Chiedono di non dover subire anche l'umiliazione di un forzato allontanamento dalla loro amata terra. 


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