Francesco Antonio Santori nacque nel villaggio arbëresh di Santa Caterina Albanese (che nella parlata locale è detta Picilia, da pronunciarsi /pitsi'λia/), in provincia di Cosenza, il 16 settembre 1819, da genitori di umile condizione sociale, e al fonte battesimale furono imposti i nomi di Francesco Paolo, che poi, entrato nell'ordine francescano, mutò in Francesco Antonio.
D'ingegno pronto e vivace, ricevette i primi rudimenti dal parroco del proprio proprio paese, e a soli 16 anni d'età, secondo il De Rada (Antologia Albanese, Napoli 1896, pag. 82, in nota, ma a circa 23 secondo lo Straticò (Manuale di letteratura albanese, Milano 1896, p. 221), entrò nel convento francescano di S. Marco Argentano. Qui segui gli studi umanistici sino all'ordinazione sacerdotale. In seno al proprio ordine religioso ricoprì in seguito diversi e importanti uffici. Fu buon oratore e predicò in molte Chiese della Calabria, e nel 1858 tenne un quaresimale in Napoli.
Ebbe vita travagliata e amareggiata spesso dall'invidia e dalle incomprensioni. Dovette perciò abbandonare la vita monoastica ritirandosi nel paese natio, verso il 1860, dove visse poveramente «facendo un po' di scuola e costruendo con sue mani dei filatoi di sua invenzione... che vendeva a poco prezzo» (De Rada, l.c.). Nel 1875 è nominato parroco di San Giacomo di Cerzeto dal Vescovo di San Marco Argentano Livio Parlatore, e quì si spense nella mattinata del 7 settembre 1894, all'età di 75 anni.Il Santori fu uno dei più fecondi scrittori arbëreshë, anche se le opere sue date alle stampe furono poche per via della povertà in cui sempre versò. Oltre ad alcune poesie apparse in diverse riviste, pubblicò soltanto due opere d'indole letteraria: «Il Canzoniere albanese» ed «Il prigioniero politico» (1848). Quest'ultima opera è scritta in italiano e in endecasillabi sciolti, ma con intermezzi di canzoni in albanese, un fatto, questo, che bene riflette la condizione degli intelletiuali arbëreshë. Nel 1849 pubblicò l'opuscolo devozionale «Rozarë i shën Mëris Virgjër të Mirvulis», e nel 1855 il manuale di pratiche religiose con un ricco innario «Krështeu i shëjteruor», che tanta diffusione e popolarità ebbe nelle comunità calabro-albanesi.