Ei tacque: e rumoroso dalle spalle
Da' monti occidental scendea gagliardo
Un vento e strepitando tra le fronde
Degli alberi, fischiante un tremolio
Formava, da sembrar sibilo acuto
Di genio errante, magico, che parla
Agli uomini cui piace. Sparve…
Indarno Tre gironi il padre a fervidi singulti
Espresse il duol che lo cruciava, il forte
Desiodi riveder suo figlio, e il crudo
Timor che lo angosciava, e assai precoce
Rendea la morte. Quanto val parola
Dolcissiama di donna, tutto in opra
Ponean le nepotine e la sorella
Per consolarlo, e tutto inutilmente
Fu sperso o accrebbe forza al rio malore
Che lento lento il consumava. Egli era
Or vaneggiante, ed or deliro, e sempre
Marino, ripetea, Marino affanno
Di maggior pondoche non furo i giorni
Di cinque lustri alla prigion protratti
A pena del mio cor troppo sentita!…
Or Marianna, ora Lavini, ed ora
Leuteria, e Serafina a Lui d'intorno
Comprimendo le lagrime, una, e un altra
Allegavan cagion, perché da casa
Lontan si stesse ei si gran tempo; e ch'era
Suo vezzo non far parte altrui dell'opre
Da compiersi da lui. Che spesso spesso
Partia, e poi ritorno al proprio lare
Facca sovvnete ancor più lieto fatto
Che partito non era. Un suono vuoto
Da idee pel prigioniero eran tai detti
Onde si taceva, e nel tacer languia -
Del quarto giorno, alloro che sul tramonto
Chinava il sol: sul letto ei resupino
Sito col volto alla tettoja immota
Restò. Avea frequente il suo respiro,
Ma più, e ognor più debole si fea,
Leuteria fu atterrita allora quando
Si avvide che Francesco dalla vita
Prendea commiato, combattea del corpo
L'alito estremo in agonia fatale.
Serafina spedia minor gemella
Al ministro dell'alme a cui la cura
Era commessa, onde animasse il fioco
Spiro della speranza in punto estremo.
Serafina partì; ma un solo istante
Dopo tornava accesa, e sbigottita
Dalla vista di molta, e molta gente
Schierata intorno, in apparato fiero
Di armi scintillanti, e che cercava
Degli uomini perduti da più giorni;
E i cani fean rombante all'altra riva
Del fiume e 'n questa, un gran latrato
uniti
A drappello, e fermati ad un sol punto
Col guardo, non ardian pressarlo, e tutta
La gente si stringea verso a quel loco:
Serafina narrava: e spalancata
La porta sul momento, furioso
Marino entrò. Tirò dietro la porta
Sulla stridente imposta, e barricata
Di grasso sbarre a suo rinforzo allora
Dentro la ferritoja il trombone
Spinse, perfin che il fronte esterno, il
labbro
Del muo rasentava l'ampia canna.
Fermossi, e poi sollecito si pose
Vicino al Padre: il quale a quel fracasso
Aperse le pupille cui copria
Di morte, il fatalissimo finale
Languor estremo. Al viso soprastante
Di Marino fermolle, e la scintilla
Ultima della vita le animando,
Parea che con vivissimo linguaggio
Volesse dir: Della vendetta il frutto
Hai colto, o figlio!… E chiusele e un istante
Più non le aprì, ne più batteagli il core,
Né respirava più, né più vivea…
Marin tuttora stavagl sopra
Immobile, e nel cor come colui
Che stanco dalla tenebre densate
Un raggio raffigura folgorante
Lontano, solitario, ma fugace
Come pensiero: e scuro a più riprese
Poi farsi intorno ii tenebroso loco
Ei mira, e gli si offusca il cor, la mente.
Un ulular, un gemicare, un grido
Aperto allor da quelle donne intorno
Alto ne diffondea strepito e lagno.
Marin si scosse, ed accigliato, bieco
Di un guardo inesprimibile, feroce
Tremendo fulminolle, e di ciascuna
Il grido ripiombò all'afflitto core.
Mute si stiero, ed insensate, colte
Da dolor, da terror, da trepidanza
Che speme non avea. Marin del padre
L'avanzo freddo d'abiti migliori
Adorna; e l'una mano all'altra stretta
Lo avvolse in un bianchissimo lenzuolo…
Fermossi po qual uom dubbioso, e unite
Le mani al petto, in forma del sacrato
Venenrando segnal, cui fece Dio
Onor che non ha pari, intorno intorno
Sguardando il tutto della casa, muto
Sostava; ma compreso da pensieri
Trepidi, procellosi, oscuri crudi
Interrotti, maggiori, successivi
Come del mar l'ondo turbate, forti.
Alla spalliera della sedia (ov'era
Qual giovane viola ed appassita
Divelta dalla terra più giacendo
Che sedendo Leuteria sconsolata
Sorella al Prigioniero) il capo chino
Lavinia con la fronte vi posava,
Sul dorso della mano, e già dirotta
In lagrime bagnata al petto al seno
Un gemicar sommesso prolungando.
Un ardente sospir dal cupo fondo
Marino emise dal suo petto simile
Al rifiatardi quattro buoi. Riscossa
All'insolito moto, le pupille
Scintillanti quai stelle al fondo azzurro
Di ciel sereno, e lagrimose e meste
Fissolle sul cugino la venusta
Lavinia ancor più bela nel profondo
Dolor che le affligea di acerbo strazio,
L'alma di vivacissimo sensibile
Sentir; e del suo petto il colmo elastico
Moto eccitato da sospro energico
Del suo cugin, vieppiù si fea notabile
E la immalinconia. Quel peritoso
Linguaggio, quella frase luttuosa,
Amorosa, ineffbile, scommosse
L'affetto di Marino ormai sopito
Da patine di sangue raggrumato
Su mucchi di cadaveri, diletto
Piacer crudele e snaturato. Allor
Il guardo di Lavinia non sostenne,
E per la terza fiata egli esternava,
Col carattere umano, un caro affetto:
Ma oltre spingea cel cor dalle pupille
Le lagrime importune a cui sacrarsi,
A cui negarsi ancor non ben soffria,
E titubava e combattea la forte
Guerra del sentimento della vita
Dell'onor, della morte, del desio
Di vendetta comiuta, di promessa
Per giuro fatto, ed esecrato, e quindi
Rifatto, e mai seguito. Amoro non vinto
Benché non corrisposto gli rodea,
Qual fredda lima il ferro ancor più duro,
L'anima sanguinaria e capricciosa.
Dubbioso cosi, così turbato
Due volte corse a lunghi passi il compo
Libero della casa, due fermossi
Con quella calma che procede i grandi
Sconvolgimenti procellosi, e sotolta,
E stupida, e procace all'orlo estremo
Del precipizio rasserena il truce,
Cogitabondo, taciturno aspetto.
Vagolava con l'occhio, e con la mente,
E non scernea in tal funesto punto
Qual essere miglior terminazione.
Arretrarsi? Avvanzarsi? Oh! disperato
Ogni partito era per lui; che l'urto
Sentia, gustava il pondo, e la ruinosa
Corrente soffermarne ei non potea.
Si scosse a quanto, e poi fermossi attento:
Decide, muove. Poi scontrando il guardo
Del padre al freddo avvanzo, ei si ristette
Un tempo ancor, guardando fiso fiso
Su quel mortal convoglio; scolorossi
Sudò, siterse e cenno fea più fiate
Saziarsi il desio ceh avea di sprta
Lasciarvi sopra la corvina chiama
Divelta dal suo capo; e pentimento
Ben più fiate ancor di cotal atto
Indecente men saggio, e di men forte
Animo degno. Parve risoluto
Non so di che: Riflette… e poscia tratto
Sporse col guardo la finestra, e vide
Il tutto intorno. Entrò, afferrò lo schippo,
Guardò le donne con spirante guardo
Foco di orror, cupo silenzio, fiera
Minaccia al trasgressor. Le fibre, e i nervi
Gli si attrassero rapidi, violenti,
E fur convulsi sull'istante. Indossa
Marin la muta salma, e fuori sorto
Lento da pria, poi ratto avvanzossi
Alla volta del bosco, alla palustre
Contrada si avviò, ove del fiume
Diviso di versandoun rivoletto
Dietro diversi sinuosi giri
Per entro fratte rovi vepri e spine
Carici alni fogliosi amplie ginestre e spine
E piante d'ogni specie e agresti viti,
Per la folta, fangosa ampia boscaglia,
Forma melmoso e torbido un laghetto
Sparso di giunchi ed altre piante e canne
Paludose che fan qua e la compaja
Un isoletta e un altra che covaccio
Di testuggini son, e acquari uccelli,
Di rettili e quadrupedi vellosi;
A cui dall'alto minaccioso spia
Soprastastante il pigardo solitario
Carnivoro, insaziabile, feroce.
Il raggio più cocente, il vento estivo
nommai lo dissecar da trarvi dentro
Porcino gregge, o dalla negra pelle
Armento bufalino. Ei ratto ardito
Vi si lanciò dalla men torba parte
E nuotando avvanzava. Entrò la volta
Fatta da due grandi Ischi uniti, scuri
Nei rami, dalli tralci pampinosi
Di selvatica vite, e da' virgulti
Frondosi e ritti, e dai ricurvi e spessi
Rovi e vepri, e dami e frasche e sterpi
E frode vischiosissime conteste,
Nemiche ad raggio che tentasse
Di luce penetrarvi, e nei segreti
Nascondigli reconditi spiare
Impenetrabili bui, e sulla linfa
Riflettenti un imagine sinistra
Tremenda spaventosa. Egli disparve!…
Indarrno la sua zia mirava ansiosa
Seguendolo coll'occhio dal verone
Della finestra, se dall'altra parte
Sporgese; ma nommai comparve alcuno:
Speranzose quantunque semimorte
Lo attesero più giorni, e la speranza
Nata col dì, moria sepolta al cupo
Notturno rabbujar; ove incessante
Il latrato de' cani diffondea
Per tutta la contrada alta paura,
A cui de' lupi l'urlo era per eco
Corrispondente. Un cranio, un braccio, un
piede
Una spolpata mano, e stracci varî
Vedeansi tuttogiorno in bocca loro,
E l'indefesso ircuir del lago.
Più donne allo sparir misterioso
Di Marin, pianser caldo lo sconcerto
Delle famiglie. Orribili novelle
Vociferarsi sul destino ignoto
Di Marino, e di molti altri viventi;
Or terra e loto, oppur de' cani pasto,
E di lupi, e di corvi. Ancor la fama
Si diffuse, che morto tra la tra la gente
Che combattea ne' campi di Spezzano
Si fosse. Alle pianure irrigue e ingombre
D'alberi, di lacune, e sterpi, e mucchi
Di tronchi secchi di cadute querce,
Opra del tempo, o fi tagliente scure
In Camerata; o all'arenose rive
Del Cochile, e dell'Essare la tanta
Labile, e contrariata diffendendo,
Bramata libertà. Che lì pugnando
Perito fosse ignoto, ed insepolto
Rimase avvanzo al dente aguzze ingordo
Dell'avvoltojo, e della lince; e nullo
Occhio lo sparse di caldette stille
Di lagrime anelate, o ricoprillo
Pietosa man, come é cristiana usanza,
DI sacra terra; e la inclemenza cruda
Del tempo lo anegri, poi consumollo
Corrotto, e fatto loto. Altri pur disse,
Che gito fosse a ricovrarsi in terra
Lontana, liberissima, ospitale.
Altri,che tuttavia vivesse occulto
Alle pelonche delle patrie selve
Segrete, in accessibili, pensava.
Ma vero é pur, che da' viventi sparve
Qual fantastico genio; misterioso
Composto di grandezza, e di coraggio,
Ostinato allo sdegno, all'amor chino
Proclieve al ben, corrivo al mal, crudele
Insieme, e pietoso. Di travolti
Pensieri liberali, capriccioso,
Arcano nell'oprar, nel viver suo
Uniforme, impassibile; severo
Persecutor de' suoi nemici troppo
Vera cagion da sviluppar quel duro
Carattere, per cui visse in delitti,
Che gli schiusero l'adito alla tomba,
E più che di virtute ostello, il fero
Viziosa sentina, e d'opre inique
Macchinator colpevole. Ei se vive
Mal Spira l'aere, che lo schiva e abborre
Come vulcan, la sorbendo impregna
Di pestifero umor, la prodigiosa
Elastica sua sfera, e al natura
D'intorno brucia, e la pietrificando
Desertata d'ogni erba verdeggiante,
D'uccelli, e di quadrupedi, e l'adorna
Di lave incendiarie spaventose
Sporte da periglioso ampio cratere.
Francescantonio Santori